Si può dire che George Harrison sia stato uno dei musicisti più innovativi degli anni sessanta e settanta. Importante tassello dei Beatles, con brani indimenticabili come Something o Here comes the sun.
Successivamente votato alla via del misticismo nella sua collaborazione con Ravi Shankar di cui ricordiamo il concerto in Bangladesh del 1971 o il disco Chants of India dove si trova la bellissima Prahbujee.
Brani stupendi come solista, produzioni sorprendenti, una volontà di ricerca, conoscenza, scoperta. Un occhio rivolto alla meditazione, al dialogo fra gli stili musicali, un’anticipazione dello stile che con la globalizzazione sarebbe diventato la norma.
Se non fosse per quel piccolo incidente avvenuto nel 1971. Era passato un anno da quando il suo successo My sweet Lord aveva conquistato le vette mondiali, diventando la hit che inaugurò la sua carriera solista. Proprio nel 1970 infatti i Beatles si erano sciolti, subito dopo la pubblicazione del disco Let it be.
Harrison voleva essere al passo dei suoi colleghi ex Beatles e aveva presentato questo brano orecchiabile, allegro, mistico perché rivolto a Krishna; addirittura si sentiva nel finale il mantra hare Krishna hare Rama hare hare.
Il plagio
Ma questo brano così hippy che sembrava frutto del suo genio bisognerà poi scoprire che era un plagio. E lo era davvero perché se si ascolta il brano He’s so fine delle Chiffons del 1963, ci si accorge che il ritornello è esattamente identico al celebre successo di Harrison.
Era il 10 febbraio del 1971 quando la Bright Tunes intentò una causa contro l’ex membro dei Beatles. Il giudizio arrivò il 23 febbraio del 1976 quando la corte federale giudicò George Harrison colpevole di “plagio inconsapevole”. Lui negò fino alla fine sostenendo di essersi ispirato a Happy days. Certo aveva una gran faccia tosta. Ma potremmo comunque credere che quell’ aggettivo di “inconsapevole” utilizzato per il giudizio, potesse poi avere in fondo un valore di verità.
Perché a ben pensarci si sa che i Beatles sono stati immersi fin negli abissi della realtà musicale, anzi della realtà e basta. Costantemente sottoposti a stimoli, ascolti, viaggi, incontri. Sicuramente George Harrison potrebbe aver sentito il brano e senza essersene reso conto averlo memorizzato e dunque riproposto credendo di comporlo. È un’ipotesi.
Fatto sta che il giudizio è stato giusto, perché il ritornello del brano delle Chiffons era identico. Eppure questo evento generò nel cantante un trauma non indifferente, perché la multa salata che ricevette, lo portò a sviluppare una paranoia per la quale ogni composizione di un nuovo brano Harrison temeva di plagiare inconsciamente uno già esistente.
Povero Harrison. Ciò non toglie che il brano My sweet lord sia un brano meraviglioso, con un grandissimo messaggio, una melodia indimenticabile. Insomma il valore di un plagio può superare la faccenda penale e trovare il suo significato nella sua potenza artistica. E poi diciamocelo, la spesa dovuta alla sanzione non avrà certamente ridotto al lastrico l’artista che ha vissuto una vita tutto sommato invidiabile.
Luca Atzori, laureato in filosofia, ex direttore artistico del Teatro Piccolo Piccolo, Garabato e membro fondatore del Mad Pride di Torino. Drammaturgo, attore, poeta, cantautore. Autore dei libr: Un uomo dagli occhi rotti (Rizomi 2015) Gli Aberranti (Anankelab 2019), Teorema della stupidità (Esemble 2019) Vangelo degli infami (Eretica 2020) e dei dischi Chi si addormenta da solo lenzuola da solo (2017), Mama Roque de Barriera (2019) Insekten (2020) Iperrealismo magico (2020) Almagesto (2021).