Si è accesa nei robot la prima scintilla di empatia

Un esperimento ha dimostrato che nelle macchine è possibile accendere una scintilla di empatia. L’esperimento è stato portato a termine dagli ingegneri della Columbia University di New York guidati dall’ingegnere Hod Lipson.

 

Gli esseri umani imparano da piccoli a prevedere le azioni degli altri e questa capacità è alla base della socializzazione. Al contrario, i robot finora non erano riusciti a mettere in atto questo tipo di comunicazione sociale, fino ad oggi: in questo esperimento un robot doveva cercare dei cerchi di colore verde e dirigersi verso di essi, ma c’era un problema: a volte il cerchio verde era nascosto da una scatola di cartone rossa e in quel caso il robot o cercava un altro cerchio verde o si bloccava. Nel frattempo un altro robot osservava la scena da una prospettiva che non gli nascondeva alcun cerchio verde e, dopo aver osservato il suo partner per due ore, iniziava ad anticipare l’obiettivo e il percorso dell’altra macchina.

 

Pur essendo i comportamenti mostrati dal robot molto più semplici rispetto a quelli degli esseri umani, i ricercatori tuttavia ritengono che potrebbe trattarsi di una forma primitiva di empatia.

 

“Semplicemente osservando i comportamenti dell’altro, un robot molto semplice ma dotato di intelligenza artificiale è riuscito a prevederne i comportamenti. E’ quel che avviene durante molte delle interazioni umane, e fra le macchine si è verificato senza bisogno di fornire alcuna informazione” spiega Cristina Becchio, scienziata dell‘Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. “I cobot, o robot collaborativi, esistono già e svolgono compiti assai più complessi di quelli descritti nell’esperimento di oggi. Ma hanno la caratteristica di reagire al comportamento altrui, non di prevederlo. In questo modo le interazioni perdono fluidità” spiega Becchio.

 

“L’esperimento di oggi dimostra invece che osservare può essere sufficiente per prevedere i comportamenti altrui”. È il primo piccolo segnale che anche nei robot potrebbe esistere una teoria della mente, la capacità peculiare di esseri umani e primati di mettersi nei panni degli altri per prevederne le azioni semplicemente attraverso l’osservazione.

 

In futuro i robot dotati di tale peculiarità potrebbero imparare a interagire meglio fra loro e con l’uomo, assistendo persone disabili o cooperando come una squadra, ad esempio in una fabbrica, un ospedale o sul teatro di un disastro. La possibilità di prevedere azioni future dall’osservazione “è una capacità in grado di migliorare significativamente la sintonia e il grado di interazione naturale di un robot con un umano, dal momento che la barriera linguistica viene superata nell’esecuzione di compiti in cui ad esempio è necessario un coordinamento o un accordo reciproco”, osserva Antonio Frisoli, professore ordinario di Robotica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Nello scenario del robot aiutante “possiamo immaginare robot in grado di assecondare le nostre azioni in modo collaborativo ed efficace”, aggiunge.

 

Si aggiungono a questo punto riflessioni etiche: Frisoli fa notare che se i robot arriveranno ad anticipare quello che pensano gli esseri umani, potranno aprirsi problemi etici importanti. Per esempio, fino a che punto un robot deve essere in grado di prendere decisioni autonome sulla base di una sua predizione? Può inoltre un robot, nell’anticipare il pensiero dell’uomo, manipolare l’uomo stesso e non essere più il mero esecutore di compiti? Sono tutti aspetti che meritano una riflessione attenta di tipo robotico e filosofico.