De Vulgaris Profundis: le parolacce e molto altro nelle grandi opere letterarie (Pt1)

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Ben ritrovati cari amici di Hermes Magazine. E benvenuti in questo nuovo viaggio dove ci avventureremo nelle frasi piu scomode e sconce delle grandi opere letterarie, partendo da latini e romani ed arrivando fino ai giorni nostri. In questa prima parte  iniziaremo con la Grecia e con le parole (o meglio volgar parlare) dei suoi piu grandi oratori, passando per la citta di Jessica ed Ivano: Roma. Reggettevi forte, ed impasticchiamoci.

Lo sappiamo “il parlar e scrivere sporco e scomodo” non è mai troppo apprezzato in letteratura, qualsiasi genere ci si trovi a sfogliare tra le mani, è difficile apprezzarlo, se scritto in maniera troppa rozza. Vuoi per una questione di pulizia del testo, di censura da parte di chi non riesce a non opporsi ai moralismi di una società corrotta, solo quando vuole e non quando deve. Parlare e scrivere in modo volgare, per il mondo, indica una pochezza intellettiva non contemplata nei canoni del galateo della scrittura. Tradotto in parole semplici: “Se parli di farfalle colorate” sei un grande poeta, ma se parli con un linguaggio un pò piu’ colorito, cadi subito in un limbo dove tutto diventa sfumato. Dove non si sa se sei buono o cattivo, ma sicuramente potresti incappare nella trappola di bigottismo letterario, che accumuna i migliori lettori ed anche quelli che pubblicano i libri, soffermandosi sullo scrupolo della bella dizione. Per farla breve: vi ricordate l’indignazione per la farfallina di Belen? Ecco quelli che si sono indignati, sono gli stessi che probabilmente avrebbero voluto vederla meglio. Ma questa è una mia personalissima riflessione.  

Poi però ci sono autori che hanno avutro tanto coraggio. Su questo fronte uno su tutti Bukowski, e che in quel limbo nel quale non sappiamo piu’ davvero cosa sia o meno la volgarità ci naviga benissimo. Di solito, ciò che viene ritenuto volgare è: il supposto osceno, la blasfemia. E il turpiloquio. E molto banalmente, la parolaccia.

Eppure, volevo aprirvi gli occhi, anche autori anche di cultura ellenistica non erano proprio così come ce li appropinquano negli studi scolastici perché, facciamo scelte educative dove imponiamo ai nostri adolescenti un linguaggio pulito, assente di vocaboli sconci e scurrili. Ma se lo facessimo per davvero, siatene consapevoli allora saremmo costretti a vietare loro anche gran parte dei nostri classici.

Proprio cosi ragazzi! Anche Omero e co non hanno disdegnato il ricorso nelle loro opere all’epiteto volgaris. Anzi, parebbe che alcuni si siano proprio divertiti a condire qua e là le loro operette con una densa scorta di sconcezze e un po’ di dissacrazione simbolica linguistica.

Persino i greci amavano ironizzare sulla meravigliosa società del tempo di cui facevano parte e sui vizi dei potenti con un linguaggio alquanto diverso da quello che ci fanno studiare al classico. Prendiamo in esame Archiloco, Eschilo o Sofocle. O il grande Aristofane, che nella sua commedia “Gli Acarnesi” fra molti passaggi coloriti e simpatici scrive «Tu che al culo focoso il pelo radi, tanta barba, o scimmiotto, al mento avendo, cammuffato da eunuco, ti presenti?». Non ve lo traduco, perché mi piace lasciare ampio spazio al lettore nell’interpretazione

Ma i nostri amici latini non si smentirano neppure in Italia. I Romani, infatti, non erano certo da meno. Persino il nostro amatissimo Cicerone non è estraneo a certe espressioni dalla connotazione abbastanza volgare. Ma più di tutti gli altri, come esempio va preso il poeta e retore Giovenale, che intorno al 100 d.C. ci ha regalato con le sue Satire veri esempi di profundis torpiloquio vulgaris.

Andiamone a leggere qualcuno:

«O ancora quando t’impone di farti in là gente che si guadagna i testamenti ogni notte, gente che la via più sicura oggi a far fortuna, la vulva d’una vecchia danarosa, porta alle stelle». Che appare come un vero e proprio elogio alle M.I.L.F..

Oppure: «Non fidarti dell’apparenza: le strade sono piene di viziosi in cattedra. Condanni l’immoralità tu, proprio tu, che degli efebi di Socrate sei il buco più noto? Il corpo rozzo e le braccia irte di setole prometterebbero un animo fiero, ma dal tuo culo depilato, con un ghigno, il medico taglia escrescenze grosse come fichi». E così via….  

E noi, che ci scandalizzavamo per Cinquanta sfumature di Grigio. Poveri illusi! Torneremo a parlare di queste scaramucce letterarie nella prossima pasticca. Alla prossima!

 


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