Fifty Shades of Gabriele D’Annunzio (Pt2)

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E rieccoci al nostro attesissimo appuntamento con le pasticche letterarie di Hermes Magazine.

 

Con questo articolo continueremo e concluderemo la meravigliosa scalata della lussuriosa vita del nostro Manson della poesia e letteratura italiana: Gabriele D’Annunzio. Il quale, come è noto a molti, ha trascorso i suoi giorni di vita con una tale intensità che sembra abbia vissuto più volte in una sola: poeta, narratore, politico, aviatore, soldato, giornalista, esteta, amante e persino dongiovanni (che je facevi tu alle donne, Gabrie’?).

 

Senza aver mai paura di osare. Di spingersi più in là del dovuto. Di andare oltre a sé stesso, ma pure di non vedere i confini di un mondo che pareva avesse già firmato il suo contratto con la poca possibilità di essere migliore. Ma lui, no! Il Reverendo Rock della letteratura Italiana, aveva gli occhi già proiettati verso due belle chiappe d’infinito. Per farvi un esempio: se l’Italia a quel tempo si concentrava su caffe letterari e quant’altro, Gabriele, aveva già in mente il Carnevale di Rio.  Probabilmente era questo il suo segreto: andare al massimo, prima che lo inventasse il Blasco infrangendo ogni tipo di divieto canonico, che unito ad un talento e ad una sensibilità fuori dal comune, gli permetteva di leggere nel cuore (e non solo) delle persone e ammaliarle con una dialettica e retorica da far invidia persino agli attuali attori di Hollywood. 

 

Aneddoti di vita interessanti

 

Fin dagli anni del collegio  (il Cicognini sito in Prato), il nostro caro Gabrielito, con un talento fuori dal comune, mostrava già un carattere ribelle e anticonformista. E questa sua peculiarità verrà portata all’estremo grazie al suo interessamento, per i salotti romani, dei quali – nonostante il suo andare oltre, ovvero passando dal divano al letto con le dame, che li frequntavano – non schifava l’esistenza. Infatti per un appassionato di arte e particolarmente sensibile alla bellezza femminile (e a quella della fagiana) Gabriele D’Annunzio trovò la sua dimensione ideale a Roma, città in cui si trasferì nel 1881, per iscriversi alla facoltà di Lettere. Qui tra studi e sedute spiritiche fatte di letture, patate e spogliarelli cominciò a prendere forma non solo il suo augello, ma anche la sua devozione verso una nuova metodologia di scrittura. Tranquilli! Non scrisse il Kamasutra, e neppure la prima edizione di “Fifty Shadow of Grey” ma fece decisamente del suo meglio per non cadere nel banale delle figure retoriche dei romanzi rosa. Fu questo l’avvento dei suoi più grandi scritti che ancora oggi fanno rizzare i peli (ma solo quelli) dei maturandi durante il quinto anno superiore.

 

L’importanza della sue opere infatti si alimenta perchè sono la concreta forza di alcuni movimenti che hanno preso acchitto durante i primi anni del 900, ovvero: furismo, estetismo (figlio del decadentismo). Ma andiamo per gradi ed in modo molto conciso.

 

L‘estetismo altresì non è che una corrente letteraria e filosofica che ha preso piede in Europa a metà Ottocento e che pone nel mezzo del suo pensiero il culto della bellezza e dell’arte sopra ogni cosa, esaltando la forma più che la sostanza. L’esteta è chiamato anche “il dandy” (che è una sorta di hippies elegante dell’800 e non uno dei protagonisti di Romanzo Criminale). Il dandy è votato alla ricerca del bello e del piacere. (Molti di loro probabilmente hanno perso la vista a furia di pugnette su pugnette per capire quale fosse esattamente il piacere) disprezzando le regole della morale borghese, ritenuta ipocrita e “castrante“. Oscar Wilde ne fu un esempio. Non solo l’estetismo era anche considerata una vera e propia corrente artistca che si contrapponeva agli ideali di razionalità e scientificità dettati dal positivismo, considerato freddo e privo della sensibilità adeguata per cogliere le sfumature della società. E della rappresentazione “teatrale” di essa. Tale capacità era invece riconosciuta ai poeti e agli artisti che portarono avanti questo spiccato senso “di fiori, farfalle e rock’n roll.”

 

Tutta la poetica di D’Annunzio fu influenzata da quello che viveva esteriormente, e forse non era solo ed esclusivamente “voglia di scandalizzare” con tutto quel sesso nelle sue opere. A quello eravamo già abituati sin dal Trecento con Boccaccio, bensi’, forse l’eclettico poeta stava dando una connotazione quasi piu’ romantica a quello che di solito si poteva sperimentare nei bordelli letterari di cui faceva parte, nonostante avesse la fama di nobil uomo super eroe e aspirante “Tom Cruise” in Top Gun.

 

Un’opera tra tante… e poco conosciuta di D’Annunzio

Il libro delle Vergini

 

Si tratta di quattro novelle stile Giovannino Boccaccio che risentono ovviamente del sensualismo parnassiano e del verismo verghiano (perchè anche Verga portavo alto il suo cognome e non solo). Il tema di cui si parla è ovviamente l’amore nelle sue diverse sfumature (anche quella rossa del sadomaso) e contraccezioni. Un amore spesso tragico quanto adulterino. Il verismo lo si ritrova ed  individua in queste povere donne protagoniste delle novelle, nel tentativo di voler cambiare il loro equilibrio sociale e coniugale. Ma ahimè pare falliscano sempre (mado che verita’…. eh!!) e nella maniera più triste, oppure si macchino di empietà. E’ il caso della prima novella de “Le vergini“, rielaborata come “La vergine Orsola”, che essendo consacrata a nostro eccellentissimo Dio da un voto, perchè guarita il giorno di Natale da un terribile male, si innamora perdutamente di un lcriminale e viene lasciata incinta. La povera Orsola decide quindi di abortire con un filtro magico (la pillola del giorno dopo!) e alla fine proprio all’estremo si ravvede dei suoi errori, (che orrore!!!) morendo però tra gli spasmi e le contrazioni. Pure nella terza novella “In assenza di Lanciotto” del 1902, è evidente il naturalismo e la voracità della descrizione anatomica dei particolari della carne edei gemiti durante l’amplesso adulterino della protagonista con il padre di suo marito, che è al letto gravemente ammalato (voi pensate che numeri!).

 

Insomma, direi che tutta sta tragedia se la poteva pure risparmiare e in quanto alle veridicità sull’infortuito modo in cui vengono descritte le donne, avrei molto da ridire. Ma mi fermo qua, altrimenti dissacrerei cent’anni di letteratura italiana e non sono di sicuro la persona piu’ adatta per farlo. Nonostante mi verrebbe da insultare D’Annunzio con un “capra” alla Vittorio Sgarbi, mi ravvedo e concludo dicendo che:

 

Il nostro caro reverendo in fondo alle mutande è un Bukowski dalla prostata infiammata, ma sempre con una mano sul cuore.

E l’altra non si sa.

 


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