“Another Brick in the Wall” è una delle canzoni più celebri del gruppo britannico Pink Floyd, di una durata di circa 8 minuti. Una vera e propria narrazione di una vita. Suddivisa in tre parti, è contenuta nell’album “The Wall” pubblicato il 30 novembre 1979. Una canzone che tratta il tema dell’introspezione catapultata successivamente in una società individualista che si “chiude” per i troppi dolori e traumi che le persone vivono. La paura del diverso, la paura di farsi del male, la paura dell’aver paura, la paura di giocarsela fino in fondo, la paura di scoprirsi soli, nonostante in mezzo a troppa gente. Cosa spinge le persone a costruire un muro di difesa verso l’esterno? Il protagonista di questa canzone ha una vita complicata alle spalle, già dalla prima infanzia esattamente come il leader del gruppo. Pink – questo è il suo nome – si difende dal mondo già da bambino quando, proprio come Waters, perde il padre.
Il video assembla già nelle prime immagini la mancanza della figura paterna, che non sempre viene considerata importante come la madre dall’attuale società. Ma in questo caso, Waters e compagni pongono l’accento sul fatto che quest’uomo, in un certo qual senso “viva” comunque nel dolore di Pink.
“Daddy’s flown across the ocean
Leaving just a memory
A snapshot in the family album
Daddy what else did you leave for me?
Daddy, what’d ya leave behind for me!?!
All in all it was just a brick in the wall.”
Il primo mattone delle mura di Pink viene posto proprio da questo primo trauma, il quale viene evidenziato nelle immagini che scorrono nel video: una madre che piange in chiesa la morte del marito in guerra, mentre il bambino gioca con il modellino di un aereo. Al petto di Pink si scorgono le medaglie d’onore del padre, portate all’altezza del cuore. Poi, usciti, la scena si sposta in un parco dove il bambino, si guarda intorno e, nel suo sguardo, lo spettatore coglie e scopre quella tristezza della perdita di qualcosa o qualcuno. Quel qualcuno con cui giocare e diventare grande. Nelle scene successive, Pink, facendosi aiutare da un uomo, sale su una giostra, ma quando l’uomo che lo ha aiutato a salire si allontana con il proprio figlio, il piccolo lo segue e tenta di prenderlo per mano. Venendo respinto più volte, alla fine, si arrende sedendosi e dondolando solo su un’altalena.
Il papà di Waters morì in guerra quando lui aveva solo due anni; nella canzone ci sono chiari riferimenti dove Pink pensa al padre che non ha mai conosciuto. Infatti la prima demo della canzone doveva intitolarsi: “Brick 1: Reminiscing”. Reminiscing vuol dire “abbandonarsi ai ricordi”, riflettere sul passato con malinconia. In questa prima parte Roger Waters parla per la prima volta di suo padre, Eric Fletcher Waters e di quello che ha provato senza di lui.
Nella seconda parte, la canzone si apre con un rumore sordo d’elicottero, ma in realtà nelle immagini si nota correre su delle rotaie un treno con dei bambini che indossano una maschera. I piccoli sono ammassati e soprattutto tutti uguali cercano invano con le braccine di uscire dalla carrozza in corsa. Poi spariscono e Pink si trova solo nella galleria. Questi bambini rappresentano le paure di una società che ha il terrore di mostrarsi fragile, ma nello stesso tempo, si riveste di una maschera macabra che non lascia spazio alle emozioni, anche quelle più dolorose. Nella vita si può piangere, si può avere paura e questo muro, a volte messo come protezione si può sgretolare anche solo con una abbraccio.
“We don’t need no education
We don’t need no thought control
No dark sarcasm in the classroom
Teachers leave them kids alone
Hey! Teachers! Leave them kids alone!
All in all it’s just another brick in the wall”
Inoltre, viene anche posta l’attenzione sul ruolo della scuola, molto spesso infatti, i docenti (ma non tutti!) si dimenticano di una parte fondamentale dell’educazione e non solo: quella dell’individualità dei bambini che hanno di fronte. E’ fondamentale considerare il singolo, prima del gruppo ed è ancora più importante dare significato anche al vissuto emotivo di ognuno di loro. Spesso, negli anni 70, questa individualità è stata messa a dura prova, come un po’ in ogni tempo.
Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright, Nick Mason nella seconda parte della canzone dissacrano la scuola, e lo fanno in modo molto potente, sia a livello melodico che di parole. Attribuendo all’istituzione scolastica un altro mattone del muro che Pink e molti altri ragazzi si stavano costruendo attorno.
Another Brick In The Wall 3 è la parte della canzone più movimentata, dura e potente dei tre “bricks”. Dei tre “mattoni” che la compongono. É cantata ad alta voce da Waters, per esprimere la rabbia e frustrazione di Pink quando comprende che il suo muro è quasi completo, ricco. Infatti dopo “Brick 3: Drugs” questo era il titolo della pre-produzione ci sarà Goodbye Cruel World, il momento in cui Pink si isola da tutti.
“The Bulls are already out there”
Pink: “Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!”
“This Roman Meal bakery
thought you’d like to know.”
I don’t need no arms around me
And I dont need no drugs to calm me.
I have seen the writing on the wall.
Don’t think I need anything at all.
No! Don’t think I’ll need anything at all.
All in all it was all just bricks in the wall.
Probabilmente si intitolava “drugs” perché racconta di un Pink che utilizzava droghe e stupefacenti per aiutarsi con le difficoltà della vita. Una delle cose che a volte succedono, quando si hanno problemi al di fuori di se stessi e dentro, che declamano una fragilità erroneamente nascosta.
La terza parte del brano è dedicata soprattutto a Syd Barrett, ex Pink Floyd, fondatore del gruppo, cantautore chitarrista e grande amico di Waters, che, come molte rockstar, assumeva sostanze stupefacenti. La motivazione che utilizzano molti è che il cantante non riuscisse a sostenere la vita da rockstar. Ma ribadiamo, non è così semplice trovare una spiegazione alle difficoltà e ai traumi delle persone. Ciò che sappiamo è che, purtroppo, Barrett non si riprese più da quel momento della sua vita e chiuse con la musica nel 1974.
Anche Pink viene descritto come una rockstar, in questa terza e ultima parte, sente di non aver bisogno di nessuno, né di persone (“I don’t need no arms around me”), né di droghe per calmarsi (“And I don’t need no drugs to calm me”). É convinto di bastare a sé stesso (“Don’t think I need anything at all”). Questa terza parte è l’ultimo mattone, la consapevolezza di voler isolarsi. Isolamento che pare essere salvezza e prigione, un continuo contrasto, melodico e vocale che ancora oggi rende questi dieci minuti leggendari.
Another Brick in the Wall, racconta in più parti la vita di chi si fa uomo anche attraverso i momenti più complicati della sua esistenza. La mancanza del padre, l’incomprensibilità delle istituzioni (anche quelle scolastiche), la difficoltà nell’essere compresi persino da chi dovrebbe essere al tuo fianco. Le mancanze, i lutti, le perdite, spesso portano chi le vive (e ne soppravvive) a provare a riempire un vuoto che spesso è quasi inutile da riempire. Forse Pink ha imparato anche questo, dalla sua vita in melodia. Ha imparato a farsi grande, senza l’aiuto degli altri, con difficoltà. E nonostante tutto, a differenza di Barret e di molte altre rockstar, non è caduto. E se anche fosse inciampato, è riuscito a rialzarsi, senza omologarsi a tutti gli altri. Il muro di cui ci parla Waters è un pò quello di ognuno di noi.
Io un Pink, così, ho avuto la possibilità di conoscerlo, abbracciarlo e tenerlo per mano (non so se quel muro l’ho un po’ sgretolato) ma spero che chi si appresterà a leggere questo articolo, magari un giorno possa conoscerne uno simile perchè, badate, sono persone che sanno davvero fare la differenza, anche con un’ armatura di cemento sul cuore.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.