Tradizionalmente i milanesi non festeggiano il ventiquattro Dicembre, ma solo il giorno di Natale, ovvero il 25. Il 24 infatti, si cena quasi sempre a casa, i credenti escono per la messa di mezzanotte e poi ci si ritrova a casa dei parenti (ma quest’anno state certi che salta di sicuro pure questa) e ci si ritrova, dopo aver pregato, da amici, congiunti, conviventi e amanti per la classica fetta di panettone, accompagnata da bollicine o dalla cioccolata calda.
Dovete sapere, però, che “chei de Milan” si suddividono in tre macrogruppi: quelli che vanno a dormire tardi e quindi preparano la cena con i parenti dopo le tre del pomeriggio; quelli che si svegliano il mattino alle sei per riempire “Ol capù” dal “bus del gnao” di ripieno alla mattina presto e quelli più intelligenti che scelgono di non disturbare i parenti e mangiare come se fosse un pranzo qualsiasi.
Sulla tavola natalizia del rinomato capoluogo lombardo si comincia dai classici antipasti, ovvero salumi alla giardiniera, paté di fegato, vitello con gelatina, insalata russa, nervetti e sottaceti vari. Per poi “daga det” con i piatti forti della tradizione. Si parte dal primo che, di solito, si va a comprare tre mesi prima alla sagra del raviolo a Covo, nella bassa bergamasca: gli specialissimi ravioli di carne cotti in brodo (denigrati dai più piccoli che se gli fai una pasta bianca fanno i salti di gioia). Come secondo piatto (che ti riempi fino a Capodanno dell’anno dopo) c’è lui, sua maestà “Ol Capù” meglio conosciuto in Italia come “cappone”, rigorosamente del pollaio della zia Pina di Sesto San Giovanni o quello della zia Marta a Pioltello.
Dei ravioli si dice che spesso sono fatti in casa; in realtà siamo quasi certi al cento per cento che se non passi alla sagra del raviolo a Covo (nella bassa bergamasca) col piffero che li fai in casa. Di solito poi le sciure, “chele furbe”, scendono a comprarli in una delle tante rinomate gastronomie della città meneghina. Per i più attenti, che sanno che ai bambini, ma pure alle persone più grandi, il brodo della nonna fa cadere le palline dell’albero di Natale, è consigliato fare anche un altro primo piatto, ovvero il risotto alla milanese.
Ovviamente il re della tavola lè prope lù: “El Panetùn“, in gergo italiano “il panettone”. E che nessuno si azzardi a nominare il pandoro veronese, perché potrebbe scatenarsi un putiferio di quartiere con tanto di cori ultrà direttamente dalla curva sud e lancio di fumogeni natalizi che i Re Magi arrivano al Meazza, senza problemi. Il panettone, a chi piace, piace così com’è, ma se proprio si vuole esagerare, lo si può tagliare a fette e successivamente farlo scottare molto rapidamente sulla piastra e spruzzarlo di Grand Marnier, secondo l’infallibile tradizione meneghina; oppure lo si può spalmare con una crema al caffè, o inglese, o al mascarpone, o al tiramisù e quant’altro per rendere davvero indimenticabile il nostro bottino gastronomico.
Vi do un consiglio: se non amate le cene o i pranzi con i parenti di Milano, e togliete le uvette dal Panettone, verrete sbattuti fuori casa in meno di tre secondi, così potrete gustarvi una passeggiata in piena solitudine in una Milano a Natale, che il signor Grinch se la sogna.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.