Ad ogni anno che passa dalla sua data di nascita o di morte, questo Paese risente inesorabilmente di un vuoto, nell’arte e nella cultura. Ci si ricorda nostalgicamente di lui, di quell’artista popolare che si conferma ancora oggi, a distanza di anni, come uno degli attori italiani più innovativi dei nostri tempi.
Principale esponente della nuova comicità napoletana, nata negli anni 70, Massimo Troisi si è affermato oramai come un mito. In un tempo molto breve, tra l’altro, con una carriera che è durata appena vent’anni, iniziando da una repentina ascesa dal teatro alla tv, passando per soli cinque film da regista e attore, fino alla dipartita troppo precoce. Perché ancora tanto aveva da offrire il “ Pulcinella senza maschera”.
Troisi nasce il 19 Febbraio del 1954, a San Giorgio a Cremano, una cittadina a quattro chilometri da Napoli, e cresce in una famiglia numerosissima che accoglie nella stessa abitazione i suoi genitori, i suoi cinque fratelli, due nonni, gli zii ed i loro cinque figli. Fin da piccolo spigliato ed estroverso, Massimo si interessa già da adolescente al teatro e compie nel corso di pochi anni un percorso carico di esperienze importanti. Si dimostra immediatamente al pubblico come uno dei più grandi attori di sempre, un grande regista indipendente e un’artista brillante e sensibile.
Ma prima dei suoi celebri capolavori cinematografici (ricordiamo Ricomincio da Tre e Non ci resta che piangere), Massimo cominciò la sua carriera insieme agli inseparabili amici Lello Arena e Enzo Decaro: i tre formavano il gruppo de’ “I Saraceni”, divenuto poi “La Smorfia”, il cui successo fu immediato e segnò una fase importante della storia della comicità italiana.
Lello Arena, Massimo Troisi, Enzo Decaro Fonte foto: expartibus.it
Come nasce “La Smorfia”
Nel 1972 “I Saraceni” fondano il Centro Teatro Spazio all’interno di un ex garage a San Giorgio a Cremano, dove in principio si mandava in scena la tradizione del teatro napoletano, da Viviani a Eduardo. Nel 1977 la svolta: Troisi, Decaro ed Arena cominciano a recitare al Sancarluccio di Napoli ed il successo teatrale ben presto si trasformerà in un grande successo televisivo.
Infatti nello stesso anno l’Italia scopre “La Smorfia”. È nella prima puntata del programma “Non stop”, per la regia di Enzo Trapani, che il trio comico napoletano fa la sua comparsa sul piccolo schermo esibendosi negli sketch più belli ed esilaranti del loro repertorio. Successivamente approdano in altri teatri, tra cui La Chanson di Roma e inizia, così, per Enzo, Lello e Massimo un periodo fantastico durante il quale alternano esibizioni sugli adorati palcoscenici ad apparizioni sul piccolo schermo.
Per la grande visibilità, nel ’78 il trio arriva anche agli occhi e alle orecchie di un grande cercatore di talenti quale Pippo Baudo che li invita nella sua trasmissione di Domenica In; ottenuto anche questo riconoscimento, e concluso un anno ricchissimo con altri tour nei teatri, “La Smorfia” si tuffa a capofitto nel secondo ed ultimo anno di attività frenetica. Nel ’79 partecipano al programma condotto da Baudo “Luna Park”, registrando il tutto esaurito nei teatri, poco prima di sciogliersi definitivamente agli albori degli anni 80. Il motivo? Lo lasciamo alle parole dello stesso Troisi, che una volta dichiarò:
“Si erano create delle divergenze sul piano dei rapporti umani, specialmente tra me e Decaro. Siamo fatti diversamente, non so chi abbia ragione, ma al punto in cui eravamo occorreva un out definitivo. Poi c’è stato anche il fatto che non riuscivo più a scrivere mini atti per tre. Diciamo la verità: La Smorfia mi limitava. Per me che intendo dire tante cose, era come muovermi in un cerchio chiuso.”
Perché “La Smorfia”?
Come mai proprio questo nome? A chi lo chiedeva, il trio spiegava:
“È un riferimento, tipicamente napoletano, a un certo modo di risolvere i propri guai: giocando al lotto, e sperando in un terno secco…”
La Smorfia napoletana infatti è il libro usato, seguendo la tradizione folkloristica partenopea, per trarre dai sogni i corrispondenti numeri da giocare al lotto. In ogni sogno un vocabolo, un’immagine, una persona, un oggetto sono simbolicamente trasformati in uno o più numeri che si spera portino un po’ di fortuna!
A questo concetto si rifanno anche i vari sketch che riprendono vari argomenti, fatti ed eventi della vita quotidiana e li trasferiscono in una dimensione comica e surreale.
L’originalità del trio napoletano
Il genere teatrale della “Smorfia” viene ascritto notoriamente a quello cabarettistico. Ma la realtà è più complicata. Il corpus “smorfiano” è caratterizzato da diciassette sketch in cui si possono individuare vari generi: dal vero e proprio cabaret di “Tra tutte te”, “Napoli”, “Ketty”, alla satira/parodia di “La natività”, “La fine del mondo” o “La sceneggiata”, fino ad arrivare al monologo in “Dio” e “Il pazzo”.
Enzo, Massimo e Lello prendono in giro tutto e tutti, toccando temi politici, religiosi, culturali con una comicità sfrontata e irriverente.
Grazie a “La Smorfia” assistiamo ad una costante azione di mettere in ridicolo quelle situazioni della vita quotidiana che meritano un’ironica critica. E questa messa in scena, vestita di napoletanità, arriva a sfiorare l’assurdo. Ricordiamo ad esempio la reinterpretazione della vicenda dell’ Arca di Noè, con l’invenzione del “Minollo” che ben rappresenta quell’arte di arrangiarsi tipica dei napoletani.
Ricordiamo ancora lo stravolgimento comico di modelli narrativi quali la tragedia e la favola, nella “Sceneggiata” con “Gennarino Parsifal, po’-po’!” e in “La Favola” con l’esilarante incontro equivoco tra il il popolano- “Cenerentola” della situazione, il principe azzurro e il suo fedele paggio.
Con una grande padronanza scenica, con tempi comici perfetti nella loro imperfezione e con una versatilità tale da rendere ognuno allo stesso tempo protagonista e “spalla”, i tre riescono, in un’ armoniosa collaborazione, a generare un modello spettacolare che non è collocabile in alcuna categoria preesistente.
E spesso, in una dimensione meta-teatrale, lasciano temporaneamente da parte il personaggio interpretato per metter a nudo l’ “inconsistenza” del piano strutturale della sceneggiatura.
Come in “La Sceneggiata”, dove I tre protagonisti, in più di un’occasione, abbandonano i panni del menestrello, di Don Gennarino e di Ciro il guappo per riprendere quelli di Enzo, Lello e Massimo.
Il paradosso culmina nel finale, quando i tre si confrontano su quale possa essere una conclusione credibile della storia, senza riuscire neanche a trovarla.
È grazie a questa felice combinazione di “ingredienti” artistici che “La Smorfia” sarà sempre tramandata di generazione in generazione e resta ancora oggi un pilastro del teatro comico italiano.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.