“Fina Miralles. I Am All the Selves that I Have Been” è in mostra al Museo Madre di Napoli, a cura di Teresa Grandas.
Per la prima volta in Italia il lavoro della celebre artista catalana attraverso una serie di azioni, performance, fotografie, installazioni e dipinti, circa 100 opere, dal 1972 fino a opere dello scorso decennio.
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La sua riflessione sulla natura e sull’artificio non si limita solo a sovvertire le convenzioni del nostro rapporto con l’ambiente in cui viviamo e in cui ci evolviamo in quanto individui, ma ci invita anche a ripensare alla concezione stessa di arte, ai valori che sono alla base di essa e a ciò che le dà significato.
La mostra non segue un ordine cronologico, ma si concentra su una serie di opere che sono fondanti nella struttura della pratica artistica di Miralles. Si tratta di opere che mettono in discussione concetti come l’appartenenza, l’autorità, il potere e l’ordine stabilito, nonché ciò che conferisce loro valore, invertendo costantemente le nozioni di arte, artista e spettatore. Il potenziale critico, persino denaturalizzante e le differenze e i conflitti evidenziati da queste opere dimostrano che l’immagine poetica può diventare anche politica.
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Biografia dell’artista
Fina Miralles ha studiato Belle Arti a Barcellona all’inizio degli anni ’70. A metà degli anni ’80 ha trascorso un periodo in Sud America, Francia e Italia, prima di stabilirsi a Cadaqués (Alt Empordà) nel 1999. Le sue prime azioni, all’inizio degli anni Settanta, la collocano nel gruppo di artisti concettuali catalani che si occupano del tema della natura, coinvolgendo elementi come gli alberi, la terra, l’acqua e il corpo stesso dell’artista. Con grande semplicità e forza, essi enfatizzano il dialogo tra natura e artificio, mostrando al contempo una critica sociale e politica nel contesto della fine dell’era franchista, toccando i temi del totalitarismo, del patriarcato e della violenza. In quel periodo ha partecipato alla fondazione e alla gestione di spazi emblematici dell’arte contemporanea come la Sala Vinçon di Barcellona, la Sala Tres di Sabadell e l‘Espai 13 della Fundació Joan Miró di Barcellona. Negli anni Ottanta, a seguito dei suoi viaggi, la sua opera pittorica e grafica è segnata da una ricerca di spiritualità, con gesti lirici e segni inscritti con una sobria semplicità. Dopo il Millennium, torna all’azione e alla performance art sotto forma di dialogo con la terra, il mare e i ritmi della natura. Negli ultimi anni ha pubblicato alcune poesie.
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La sua poetica artistica
Fina Miralles intende la pratica artistica come potenziale immaginativo, come pratica critica che non si concretizza sul piano dell’articolazione mentale o concettuale, ma nel luogo delle cose, dei gesti e degli affetti.
I gesti a cui Fina Miralles ci sottopone e con cui ci mette a confronto nelle sue opere, non vogliono creare antagonismo tra artista e spettatore, ma ci mostrano una concezione di arte strettamente legata alla vita.
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“Essere un artista non è una vocazione, né una devozione, né una professione; tu non lo sai, ma tutto ti spinge e ti porta a essere ciò che sei”, dice.
Le attività artistiche che Fina Miralles ci mette in luce, si basano su traslazioni, su relazioni apparentemente logiche tra elementi naturali, ma che l’evoluzione della società, una società capitalista, dittatoriale e cattolica in principio, allontana ideologicamente e materialmente. In questo modo, un semplice gesto di trasposizione di elementi naturali ci appare, oltre che audace, insostenibile perché rompe l’ordine artificiale delle cose. Anche in questo caso, la dualità natura/artificio acquista un senso più ampio e paradossale. Perché la pratica di Fina rompe l’ordine delle cose che la società impone. La sua ricerca si spinge ancora oltre: è il gesto semplice ma clamoroso di spostare l’erba verso il mare o la sabbia verso un prato. Questo gesto non solo porta con sé una carica critica, ma da vita anche a nuovi possibili immaginari.
Fina Miralles non accetta le esigenze della società o dell’arte. Le azioni “Images del zoo” o “Petjades” mettono in chiaro la sua posizione come parte della sua stessa opera, contravvenendo ai ruoli stabiliti e accettati da un sistema che esige la sottomissione a determinate condizioni di esistenza e sostenibilità, non accettando segni di dissenso o di frattura. Il gesto non lascia spazio a dubbi. L’ordine delle cose è semplicemente diverso.
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L’opera di Fina Miralles costituisce un processo di trasformazione esistenziale e artistica che crea un immaginario poetico-politico di enorme bellezza e forza. Senza condiscendenza, trascende radicalmente ciò che la società capitalista consolida.
Non solo ci interroga, ma ci fa riflettere e riconoscere nelle sue azioni. Ogni gesto, ogni opera, genera interruzioni del sapere e riformula lo sguardo: di fronte al mondo, altri modi di fare, di esistere e di creare. L’opera di Fina Miralles dà origine ad altri modi di generare significato, di esistere e di concepire l’arte.
In “Fina Miralles. I Am All the Selves that I Have Been”, l’artista si mostra nella sua complessità e diversità, in tutti i sé che è stata come persona e come artista, che si fondono in un’unica entità e che la costituiscono come essere, e che scatenano le interpretazioni a cui ci sottopone, a cui vuole che ci sottoponiamo.
Fonte foto: Tendencias Tv
L’operazione di essere più di un solo sé come operazione di consolidamento di rinnovati immaginari che ci consentono di definirci in base a parametri di altri possibili ordini.
Studentessa di Didattica e Mediazione culturale del patrimonio artistico. Amante della musica, teatro, della danza, dell’arte in ogni sua manifestazione, appassionata di Monet, Klimt- Secessione viennese ed arte contemporanea orientale.