Frédéric Charles Dévé è l’autore de Le cose che sappiamo, pubblicato dall’editore Artemide. In questa intervista abbiamo discusso insieme a lui di origine del male, romanticismo, realismo magico, scienza e letteratura.
L’intervista
L’opera è stata definita “una favola alla ricerca delle origine del male”. Come nasce l’esigenza di indagare su bene e male?
“Il protagonista del romanzo è un ricercatore scientifico e un materialista che non crede né all’esistenza dei diavoli, né a quella del male – per lui, queste cose sono fesserie, delle illusioni stupide create da superstizioni e da religioni, le quali non sono altro che orizzonti superiori dell’ignoranza.
Lui è partito come volontario, ‘internazionalista’, per solidarietà, nella giovane rivoluzione sandinista del Nicaragua (1979) degli anni ottanta. Questa, vale la pena ricordarlo, fu l’ultima rivoluzione di ispirazione socialista e comunista.
Il protagonista si trova di fronte, pero, una società nella quale tutti credono nell’esistenza dei demoni. Ed è cosi, circondato da gente che crede che il male esiste, che il nostro protagonista, un tale Hector Ruetcel, un bel giorno, si ritrova faccia a faccia a discutere con un rappresentante locale di Mefistofele. Durante il loro dialogo, emerge una domanda: si troverà una morale a questa situazione?
Ricordiamoci del Faust di Goethe quando chiede al Mefistofele che è appena entrato nel suo studio per effrazione: “Chi sei?” La risposta, famosissima, è: “Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente opera il bene.”
Io mi sono chiesto, incredulo, come Goethe lui stesso, e come Faust: “Sarà vera? È giusta questa affermazione del Mefisto?” “Lui, veramente, facendo il male, finalmente, in realtà e in fine, sta contribuendo ad operare il bene?”.
È stato partendo da queste interrogazioni che è nata la mia voglia, anzi, la mia esigenza di scrivere questo libro.”
Il protagonista dell’opera
Il protagonista dell’opera, Hector Ruetcel, è un uomo di scienza, esperto geografo: quanto c’è di lei nel personaggio e quanto invece vorrebbe che ci fosse?
“Ruetcel ha molti tratti del mio carattere, della mia visione del mondo e del mio modo di starci, nel mondo. Questo romanzo è ispirato da un mia avventura da trentenne, mentre mi trovavo in Nicaragua all’inizio della rivoluzione sandinista. È ispirato ad un incontro che ho fatto il giorno stesso nel quale ho saputo, via telegramma, della morte di mia nonna in Francia.
In quel momento mi era impossibile partire per il funerale e mi sono rassegnato a rimanere in Nicaragua contro voglia, sono riuscito a parlare con difficoltà con la mia famiglia (il telefono pubblico non funzionava bene e i telefonini non esistevano). Però questa circostanza straordinaria ha scatenato in me un’attenzione acuta a tutto ciò che toccava la tematica della morte e della vita intorno a me.
Lei mi chiede quanto vorrei che ci fosse di me in Ruetcel?
Ecco: credo che vorrei che lui fosse più aperto all’alterità di quello che dimostra, più aperto ai misteri della vita. Vorrei che fosse più capace di vedere il sublime, di stupirsi davanti al meraviglioso e al miracoloso della vita. Che fosse un po’ più spontaneo, entusiasta, e che abbia anche una capacità più acuta di indignarsi e di protestare contro l’inammissibile. Insomma, che sia meno stupido e meno diplomatico.
Ma in fondo, penso che queste limitazioni del suo carattere siano state stimolanti per me, e che mi hanno aiutato nella costruzione della sua postura e nell’articolazione del ‘plot’. Credo che in qualche modo sono riuscito a fargli sperimentare, a questo dolce cretino di Ruetcel, certe emozioni che vanno nella direzione giusta di una Weltanshauung popolata da belle passioni, di una visione metafisica del mondo che sia abitata dalla bellezza, e mossa da un impegno più efficace in favore della giustizia.
Che cos’è nei miei occhi la bellezza? Credo, come Rainer Maria Rilke, che la bellezza non sia più che questo inizio, questa parte dell’orrore che noi umani possiamo sopportare.”
Stesura dell’opera, ambientazione e trama
I suoi studi come biologo sono stati d’aiuto nella stesura del testo oppure coadiuvare scienza e letteratura non è possibile?
“Ho studiato biologia e matematica. Poi, per ideologia terzo mondista e per rendermi utile, ho studiato agronomia. E poi anche sociologia ed economia, perché volevo poter capire meglio le società dove volevo andare a lavorare. Ed io ho studiato anche etnobotanica, perché ero fondamentalmente spinto da una curiosità antropologica e dal desiderio di analizzare i rapporti fra i contadini e i loro ecosistemi. La visione del mondo che è risultata da questi studi – senza dubbio – mi ha influenzato nella scrittura. Nel libro si trovano descrizioni di paesaggi, della natura, del mondo rurale e delle usanze dei contadini la cui maggior parte, senza dubbio, deve parecchio a questi studi.”
Il Nicaragua fa da sfondo alle vicende. L’America latina non è nuova come ambientazione per i romanzi che parlano di realismo magico. Cosa rende questa terra così fertile per il proliferare di miti e leggende?
“La tradizione orale, prevalente del mondo indigeno, e tutti i miti trasmessi nel suo corpus costituiscono un humus molto fertile per la proliferazione delle leggende. La Conquista, la deflagrazione dell’incontro della nostra civiltà europea cristiana con quella precolombiana, l’estrema e tragica violenza di questo incontro sono un episodio straordinario, veramente unico della storia dell’umanità, che ha provocato una devastazione demografica, sociale, culturale e ambientale probabilmente più drastica che ogni altra colonizzazione.
Come fu analizzato ammirevolmente da Tvetan Todorov nel suo libro “La conquista dell’America”, prima di questo incontro, le civiltà europee, asiatiche, africane e anche del Pacifico si sono incontrate – e scontrate con guerre – per rapporti di prossimità, piano piano, per vie terrestre o marittime di vicinanza, le vie commerciali che collegavano i continenti tra di loro. Insomma, si sapeva che esistevano popoli diversi, dei quali si erano sentite delle descrizioni.
Invece, dopo i viaggi di Cristoforo Colombo, lo scontro inter civilizzazione che si è allora prodotto ha tragicamente decimato le civiltà indigene traumatizzando anche gli stessi conquistatori. Credo che le società latinoamericane superarono questo dramma, al meno in parte, attraverso una sublimazione collettiva della violenza e della follia furiosa della Conquista.
Questa sublimazione si è espressa in diversi modi, uno di questi è attraverso una meravigliosa fantasia che ha saputo trovare uno stile unico nell’ambito del realismo magico. Il confronto di autori come Juan Rulfo, Alejo Carpentier o anzi Mario Vargas Llosa con le leggende e i miti viventi e le cicatrici della Conquista che osservavano nella realtà delle loro società ha generato la ‘magia’ delle loro narrazioni.”
Ha vissuto in prima persona esperienze al limite del paranormale?
“L’esperienza mia che forse ritengo più vicina a fenomeni paranormali si è svolta a Tikal in Guatemala. Lì ho passato una notte al vertice del Tempio IV, il più alto di tutti, durante una bellissima notte di luna piena. Ai miei piedi si estendeva fino all’orizzonte e sotto le stelle l’immensa canopea verde scuro della foresta tropicale. Mi sono reso conto a un certo punto che dei suoni strani si elevavano da questo mare vegetale infinito.
C’erano li, ma non lo sapevo, tutta una popolazione di scimmie urlatrici, che spesso la notte comunicano rumorosamente tra di loro. Ascoltandole attentamente, senza sapere cosa fosse questo suono strano, mi sono meravigliato e anzi mi sono stupito: erano autentici canti gregoriani di monaci benedettini medievali e io li ascoltai per un paio di ore estatiche.”
Il percorso artistico dell’autore
Fonte foto: Linkedin
Quali sono stati gli autori per lei formativi nel suo percorso artistico?
“Per dirla brevemente, il romanticismo in generale, che sia questo soprattutto francese, tedesco o inglese, mi ha profondamente segnato. La mia adolescenza fu anche impregnata da Tolstoj e Dostoevskij – e poi dalla grande storia sociale e naturale, e del realismo di Zola.
Quando scoprii Gabriel García Márquez e Jorge Luis Borges, e anche Julio Cortàzar, con la mia partenza per l’America latina e specialmente il Nicaragua dove ho vissuto sette anni, si sono aperte le porte del realismo magico e dei suoi capolavori.
Anche il movimento letterario Oulipo, del quale Calvino faceva parte, è stato fondamentale per me. In realtà, tutta l’architettura della narrazione del mio romanzo è sottomessa a una esigenza oulipiana, rigorosa, di essere sviluppata come un anello di Moebius. Anzi, il primo manoscritto depositato da un editore a Parigi, La Découverte (che era il successore di Maspero, Maspero era l’equivalente e il complice francese di Savelli), io l’ho sottomesso sotto la forma di una pagina stampata unica, lunga 30 metri. Le due estremità della quale avevo incollate per formare un autentico anello di Moebius.
Sono stato anche influenzato da altre esigenze oulipiane che mi sono auto imposte. Per esempio, si può notare la tecnica onnipresente, nel romanzo, della ‘mise en abyme’. Questa ci fa vedere un libro nel libro, un laghetto nel lago, un vulcanetto nel vulcano, e anche multipli racconti inseriti dentro il racconto (come delle bambole russe). Ci fa anche vedere un lettore nel protagonista, un autore nel lettore, e anzi, questo è proprio il colmo, un protagonista che diventa autore. Tutto ciò è accoppiato con citazioni letterarie multiple, speso invisibili o appena visibili, a volte bibliche.”
Le sue origini francesi, in particolare il romanticismo di Madame de Staël, Hugo e simili, hanno influenzato il suo rapporto con la scrittura?
“Victor Hugo scrisse al lettore nell’apertura delle sue Contemplazioni: “Insensato tu, o lettore, che credi che io non sono te!”. Questo lirismo romantico è senza dubbio presente in Le cose che sappiamo. Lo è specialmente nel rapporto, in questo libro, fra lettore, autore e protagonista.
In quanto a Madame de Staël, io ho incontrato uno dei suoi discendenti. Lui, adesso, a Parigi, ha aperto uno studio illustre di ipnoterapia che io ho frequentato, per un paio d’anni, faccia a faccia con lui. Volevo curare con lui dei disturbi post traumatici, che erano comparsi dopo gli anni in Nicaragua. Ma non voglio dare qui più particolari su questa esperienza, che senza dubbio fu, anche questa, altamente passionale e ‘romantica’.”
Il futuro letterario
Ha qualche progetto in cantiere per il futuro? Altri libri in programma?
“Sto lavorando a un romanzo sulle Nazioni Unite. Ho lavorato per anni per cinque o sei di queste organizzazioni, come consulente generalmente, in moltissimi paesi.
Questo libro che cosa sarà?
Si tratta di una allegoria del nostro talento umano a sognare, dopo le due guerre mondiali, e sulle tracce di Kant, a una pace perpetua. Si tratta anche di un ossimoro, una contradizione nei termini. Un ossimoro permanente e una impossibilità, strutturale, di realizzare gli ideali di questa organizzazione dell’Onu, di tutte queste trenta circa organizzazioni e agenzie dell’Onu, tutte unite sulla carta…
Questa impossibilità – questo l’ho imparato con gli anni, con l’esperienza, con le letture e gli studi, e contatti con i governi e sul campo stesso, con i contadini di più di 90 paesi – di raggiungere gli scopi di organizzazioni come la Société des Nations, e poi dell’Organizzazione delle nazioni unite e delle sue agenzie spazializzate – come si può analizzare e come si può spiegare? Lo strumento per quello non è altro che l’economia politica, e lo studio degli interessi delle forze in presenza…
Il romanzo presenta le avventure dei diversi protagonisti che sono interni all’organizzazione FAO dell’ONU. Questa storia, chiamata per il momento Irriverenza, mostrerà queste istituzioni onusiane come campi di spietate battaglie ideologiche, scientifiche e geopolitiche che le paralizzano.”
Le presentazioni
Frédéric Charles Dévé presenterà Le cose che sappiamo a Roma nei prossimi mesi. Sul suo profilo Facebook e su quello dell’editore Artemide, e anche sul suo profilo Instagram, saranno comunicati gli eventi.
Giornalista, lettrice professionista, editor. Ho incanalato la mia passione per la scrittura a scuola e da allora non mi sono più fermata. Ho studiato Scrittura e Giornalismo culturale e, periodicamente, partecipo a corsi di tecnica narrativa per tenermi aggiornata.
Abito in Calabria e la posizione invidiabile di Ardore, il mio paese, mi fa iniziare la giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno.