Ebru Timtik, morta in sciopero della fame per “la giustizia”

Storie di donne oggi vuole mettere la lente d’ingrandimento su di una figura che si può definire martire. Sì, perchè i martiri non sono solo dell’epoca delle persecuzioni dei cristiani, ma purtroppo, ancora tristemente attuali. Martire si può dire di tutti coloro che vivono in nome di un ideale e lo urlano al mondo con coraggio, finanche a perdere la vita per questo, proprio come i cristiani per Gesù in epoca passata.

Il 27 agosto 2020, in Turchia, è morta un avvocato. È morta di fame. Il suo nome era Ebru Timtik, da 238 giorni rifiutava di nutrirsi. Pesava 30 chili quando il suo cuore ha ceduto. Ebru Timtik ha intrapreso lo sciopero della fame per chiedere per se stessa ciò che gli avvocati di solito richiedono per gli altri: un processo equo. In questo caso, un nuovo processo.

In carcere da tre anni, era stata condannata insieme a 17 colleghi per “appartenenza a un’organizzazione terroristica”, il Partito-Fronte rivoluzionario per la liberazione del popolo (Dhkp-C), un movimento clandestino di estrema sinistra iscritto nella lista europea delle “entità coinvolte in atti di terrorismo”.

Un tribunale le aveva inflitto, nel marzo 2019, una condanna a 13 anni e mezzo di carcere, confermata in appello. Timtik, 42 ​​anni, aveva denunciato un processo ingiusto. Sperava che la corte di cassazione ribaltasse la sua condanna. A metà agosto 2020, dopo che l’avvocato era stata trasferita con la forza in un ospedale di Istanbul, la corte costituzionale aveva respinto la sua richiesta di rilascio sostenendo che la sua vita “non era in pericolo”.

Era stata condannata senza prove. Ma preferiva andare avanti con la protesta invece di subire una condanna ingiusta e accettare di passare anni in prigione, con la speranza mai arrendevole – nonostante la dura sofferenza che si era inflitta – che la testimonianza di sacrificio servisse a scuotere l’opinione pubblica e il governo turco, per ottenere finalmente ascolto e giustizia. Invece è morta in prigione, consumata dal prolungato digiuno. Una tortura atroce sopportata con la forza della disperazione, con il coraggio di chi è innocente, con la tenacia di chi, anche con un filo di voce, continua a sostenere il suo ideale: quello di vedere riconosciuto il valore della verità. 

Servono ancora nel mondo, purtroppo, questi sacrifici. E forse ne serviranno altri, perché troppo spesso e ovunque, si permette di asservire giustizia e verità ad amenità inaudite. 

Le autorità turche, silenziose e sorde al destino di Ebru Timtik durante il suo sciopero della fame, hanno protestato quando il suo ritratto ha coperto la facciata dell’edificio dell’ordine degli avvocati di Istanbul il giorno dopo la sua morte. “Condanno fermamente coloro che hanno appeso questa foto di una militante di un’organizzazione terroristica”, ha detto il ministro dell’interno Süleyman Soylu.

La notizia della sua morte ha suscitato un’ondata di emozione tra i colleghi turchi e stranieri che seguivano con preoccupazione la sua vicenda. Il 28 agosto, centinaia di avvocati si sono riuniti davanti alla sede del loro ordine professionale a Istanbul. Sulle vesti nere con il colletto bordeaux avevano appuntato la foto di Ebru Timtik. Molti avevano le lacrime agli occhi, ma di fatto nessuno è riuscito a fare la differenza, nessuno ha rischiato più di tanto contro un regime così spaventoso. Di fatto lei era sola con il suo filo di voce sempre più debole, sempre più sommesso, che invece lei credeva fermamente fosse un grido feroce. Ma evidentemente lo credeva solo lei. 

Ebru Timtik, dicono i suoi amici, ha combattuto anche per la sua professione, sempre più rischiosa. Dopo il fallito colpo di stato del luglio 2016, più di 1.500 avvocati turchi sono stati portati in tribunale, seguendo lo schema ricorrente di equipararli ai loro clienti, e quindi accusarli degli stessi crimini. Ebru Timtik era nota per la sua difesa dei militanti del Dhkp-C. “Siccome difendi un sospetto terrorista, il governo ti considera un terrorista”, osserva Melike Polat.

Dopo la morte dell’avvocato a Istanbul sono scoppiate le proteste e i cittadini sono scesi in strada per gridare la vergogna accaduta. “Ebru non ha mai rinunciato al suo grido di libertà. Un grido che nella comunità internazionale tutti devono sentire”, ha scritto su Facebook David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo. Alle sue parole si sono uniti tantissimi post sui social, da tutto il mondo, tra questi anche quello dell’attore Robert De Niro. Certamente doveroso, ma vogliamo che ci bastino post sui social, o manifestazioni e parole post mortem? Personalmente non credo proprio, ma forse Ebru crederà possa contare qualcosa lo sdegno, il grido di questo, anche in un articolo come il nostro.