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Charles Baudelaire era un uomo che non aveva paura di amare. Amava scrivere, ammirava con sincero amore gli scritti di altri scrittori, amava l’arte, amava vivere e amava Jeanne Duval. Lui e Jeanne passarono insieme trent’anni della loro vita e in questo arco di tempo Baudelaire non smise mai di amarla, e proprio in questo risiedeva la sua pazzia. Sì, perché non fu l’amare il gesto di follia del poeta, ma il suo perseverare nell’amare una donna incostante e venale.
Un gesto disperato? Un segno di debolezza? Niente di tutto questo! Semplice coerenza. Perché i poeti d’ogni tempo vivono di amore sublime se sono davvero tali. Quell’amore che Diotima descrive a Socrate così: “Anzitutto, è povero sempre, e tutt’altro che delicato e bello, come credono i più, ma anzi ruvido e ispido e scalzo e senza tetto; e abituato a sdraiarsi per terra senza coperte, per dormire a ciel sereno sulle soglie e per le strade […] è ardente insidiatore del bello e del buono, valoroso e impavido e veemente, cacciatore formidabile, sempre occupato a tessere inganni, desideroso di capire e ingegnoso, tutta la vita intento a filosofare, terribile incantatore […] e non è nato né immortale né mortale, ma nello stesso giorno ora germoglia e vive, quando gli va bene, ora muore, e poi di nuovo risuscita […] e quel che acquista gli sfugge subito di mano, sicché Amore non è mai né povero né ricco. Anche tra sapienza ed ignoranza, egli sta in mezzo”.
Per chi conosce la vita di Baudelaire sa che lo scrittore impara sin da piccolo sulla propria pelle questa esperienza d’amore vagabondo e incostante. Dalla mancanza impara il segreto di Amore, poiché amare non significa essere amato, ma amare senza pretese di ricevere in cambio ciò che si è dato. Ma i poeti (così come tutti gli artisti) per essere tali necessitano anche di una capacità d’osservazione oggettiva, dove spesso la stesura del componimento serve proprio a razionalizzare e guardare in faccia quello che si è percepito.
Ne I fiori del male ci sono almeno tredici poesie che parlano d’amore, ma a noi ne bastano due per capire quanto Baudelaire amasse Jenna e quanta fosse la consavolezza oggettiva dello scrittore. Jeanne Duval era un’attrice e ballerina parigina di origine haitiana, e l’attrazione che Baudelaire prova per lei si mescola all’amore per i paesaggi e i colori scoperti nel suo viaggio verso l’India. Lui la sua musa la descrive così nel componimento Sed non Satiata:
“Bizzarra deità, bruna come le notti,
dal profumo commisto di muschio e d’avena,
opera di qualche obi, il Faust della savana,
strega dal fianco d’ebano, figlia delle nere mezzanotti,
l’elisir della tua bocca dove fa sfoggio amore
lo preferisco all’oppio, al porto, ai vini più rari;
quando i miei desideri vengono a te in carovana,
gli occhi tuoi sono il pozzo cui bevono i dolori.
Da quei due grandi occhi neri, spiragli dell’anima,
versami meno fuoco, o démone spietato!
Non sono io lo Stige per nove volte abbracciarti,
ahimè! ne posso, Megera lasciva, per fiaccarti
in codesta tua foga e metterti alle strette,
diventare Proserpina nell’inferno del tuo letto!
Con le sue vesti fluttuanti ed iridate,
anche quando cammina diresti che danza,
come i lungi serpenti che i giocolieri sacri
in cima ai loro bastoni agitano in cadenza.
Come la sabbia tetra e l’azzurro dei deserti,
insensibili entrambi all’umana sofferenza,
come s’intrecciano dell’onda i lunghi serti,
così essa si snoda con indifferenza.
Gli occhi smerigliati sono fatti di bei minerali,
ed in questa natura stravagante e simbolica
in cui l’angelo inviolato alla sfinge antica
si unisce, e tutto è oro, acciaio, luce e diamanti,
risplende eternamente, come un astro inutile,
la gelida maestà della femmina sterile.”
Pur non risparmiandosi nei complimenti rivolti al suo aspetto e al suo temperamento passionale, non le riserva parole gentili. Palpabile è l’alternarsi di amore e odio, dove l’ultimo verso indica l’incapacità della donna di esprimere un affetto che il poeta sottolinea in altri componimenti, come ad esempio in Benedizione, dove le parole che il poeta fa uscire dalla bocca della sua musa indicano come lei ricopra il ruolo della dominatrice che vuole solo vedere fino a che punto lui sia disposto a immolarsi per compiacerla:
“…e quando ne avrò abbastanza di queste farse empie,
poserò su di lui la mano fragile e forte,
e le mie unghie simili a quelle delle arpie
sapranno aprirsi una strada fino al suo cuore.”
Così Baudelaire si nutre di questo amore fatto di cattiveria e incostanza, dove il gioco dei ruoli carnefice-vittima non svolta mai lasciando il loro amore a uno stadio larvale. Questo modo di vivere un sentimento fatto per crescere o estinguersi aumenta i capricci di lei e le umiliazioni di lui. Una partita impari che dura trent’anni e che aiuta il poeta a vivere la vita nell’unico modo che conosce e che per questo lo fa sentire al sicuro. Ma quanto era in grado di guardare oltre il suo tempo Baudelaire che se in Riposo postumo scrive: “A che ti serve, cortigiana incompleta, non aver conosciuto quello che piangono i morti?” ovvero: “Dimmi Jeanne a che serve vivere senza amare”? Nei versi di Corrispondenze, con sapienza espone quali siano i problemi delle donne del suo tempo in molti sensi attuali ancora oggi.
Questo componimento inizia dicendo come al principio l’unione fosse armonica, ma prosegue per giungere a dire: “E voi donne! pallidi ceri che consuma e nutre il Vizio, e voi vergini che della tara materna vi trascinate dietro la triste eredità e tutte le brutture della fecondità!”. Al termine, la riflessione sottolinea come quell’accenno di libera spensieratezza si possa vivere solo prima del matrimonio, nella giovinezza. In altri versi de I fiori del male spiega come sulla donna pesi il merito o il demerito di dare un degno erede e di come solo nelle prostitute sia ancora possibile trovare il conforto, poiché pagano con il proprio corpo la libertà del loro cuore.
Così concludo, lasciandovi una domanda: l’amore di Baudelaire era un amore folle, un amore consapevole o “un folle amore consapevole”? Possibile che sorvolasse sull’indole narcisista di Jeanne perché consapevole della condizione della donna? In fondo, per dirlo con le parole di Diotima, “Amore non è amore del bello, come tu credi […] bada! Pensi forse che, ciò che non sia bello debba essere necessariamente brutto? E quel che non sia sapiente, per forza ignorante? O non avverti che c’è qualcosa di mezzo fra sapienza ed ignoranza? […] L’opinare rettamente, senza aver modo di darne ragione, non sai che non è sapere? […] Non costringere dunque ciò che non è bello ad essere senz’altro brutto, e ciò che non è buono ad essere cattivo.” Amore non è un Dio, amore non è un mortale, amore è “un gran dèmone, infatti ogni natura demoniaca sta di mezzo fra il divino e il mortale”.
Lavoro come grafica-creativa, illustratrice e content editor freelance.
Sono diplomata in grafica pubblicitaria e parallelamente ho studiato disegno e copia dal vero con Loredana Romeo.
Dopo il diploma ho frequentato beni culturali presso l’università di lettere e filosofia e parallelamente seguivo un corso di formatura artistica, restauro scultoreo e creazione ortesi per il trucco di scena.
A seguire l’Accademia Albertina di Belle Arti con indirizzo in grafica d’arte (che mi ha permesso di approfondire: disegno, illustrazione, incisione, fumetto).
Sono sempre stata interessata e assorbita dal mondo dell’arte in tutte le sue forme e dopo la prima personale nel 1999-2000 non ho mai smesso di interessarmi alle realtà che mi circondavano.
Nel 2007 ero co-fondatrice e presidente dell’Associazione Arte e Cultura Culturale Metamorfosi di Torino e in seguito ho continuato e continuo a collaborare con vari artisti e ad esporre.
L’amore per l’arte in tutte le sue forme, il portare avanti le credenze e le tradizioni familiari hanno fuso insieme nella mia mente in modo indissolubile: filosofia, letteratura, esoterismo, immagine e musica.