Sanremo ’21: vincitori e vinti della finale del festival

E così siamo giunti al termine. Dopo 5 lunghe serate, è calato (finalmente, direbbero alcuni) il sipario sull’Ariston. Un’edizione che rimarrà nella storia per fiori igienizzati, platea vuota e la parvenza di una normalità tanto desiderata. Eppure, dopo quasi una settimana, oltre 10 milioni di italiani sono rimasti lì, tra un commento e l’altro nella chat whatsapp, incollati alla televisione, tanto da svegliarsi negli stessi panni di critici musicali della sera precedente, riguardando la classifica e dando opinioni, spacciandole per verità assolute ed incontestabili. Ma esiste una realtà oggettiva, lontana da tecnicismi, un’opinione che sia imparziale e condivisibile da tutti quando si parla di musica? Certo che no. Su alcuni, però mi sento di dire si siano espressi pareri quasi all’unanimità.

Fra tutti, quelli su Francesco Renga: delle serate in cui ci ha deliziati del suo pezzo, non ce ne è stata una che abbia almeno in parte convinto. “Sempre sempre” stucchevole nella sua infondata convinzione. Al contrario, il povero Random, nella consapevolezza di essersi “casualmente” ritrovato sul palco, ha mostrato l’insicurezza di un ragazzo pronto per Youtube, ma assolutamente non strutturato per calcare scene del genere. Non c’è posto all’Ariston per lui ed anche gli spettatori da casa hanno pensato bene di farglielo sapere, posizionandolo nel gradino più basso della classifica.

Se non unanime ci è andato vicinissimo, il giudizio e l’emozione della mezz’ora regalataci da Ornella Vanoni. 86 anni e la stessa incredibile personalità, ammaliante e malinconica, dietro una pungente e spiazzante ironia. “Qui non c’è nessuno, ma lì dietro siete tantissimi” dirà e colpirà le orecchie e i cuori di chi ascolta, intonando Una ragione di piùLa musica è finitaMi sono innamorato di te e Domani è un altro giorno. Ma che ne sanno i trapper, verrebbe da dire. Eppure, questo Festival anche ieri è riuscito a dar voce ad un pubblico variegato, grazie al talento vestito di bianco di Madame, al delicato romanticismo di Coma_cose, all’ingombrante presenza vocale e scenica de La rappresentante di lista e alla leggera anzi “leggerissima” presenza di Colapesce e Dimartino. Una kermesse che si è adeguata all’anno di pandemia, consigliandoci i più disparati rimedi ai malesseri del 2020 farmaceutici e non: dall’elenco di Gazzè, all’arnica Gio Evan, passando per l’urlatissimo ibuprofene di Aiello. Non ci siamo fatti mancare, neanche per la finale, l’incursione di personaggi non richiesti che hanno fatto impennare l’età media anagrafica del Festivàl: Tozzi con il suo ultrapop anni ’80 e un trio, Zarrillo, Fogli e Vallesi, messo lì alle 2 di notte, come musica d’attesa prima che i dati raccolti svelassero il vincitore di questa edizione sanremese.

Ed ecco che finalmente ci siamo. L’ora come da tradizione è tarda, Dardust poco prima con le sue percussioni ha pensato bene di svegliarci. Si sprecano i pronostici via tweet ed Ermal Meta, lo zio che canta nei sogni altrui, è dato, ahimè, per favorito. Ad accompagnarlo sul podio, Måneskin ed il duo Francesca Michielin e FedezAmadeus e Fiorello, sollevati e soddisfatti del fatto di essere finalmente arrivati alla fine, aprono la busta. Contro ogni previsione, anche la sua, lo zio d’Italia si piazza al terzo posto. Vincono la 71esima edizione del Festival di Sanremo i Måneskin, la band dei ventenni, quelli che se li definisci rock provochi la morte istantanea degli espertoni di musica, ma se li disprezzi sei il follower che si lascia influenzare dalle imprenditrici digitali. Sì, sono un prodotto del talent e sì, fanno rabbrividire i paragoni a rock band del passato. Ma questo è un chiaro segno che le tutine ed il gender fluid trovano più consensi di quanto si possa credere; che a Sanremo non debba per forza vincere il pop. La musica è finita, gli amici Amadeus e Fiorello se ne vanno. Rimaniamo orfani dell’appuntamento serale che, come ogni anno, ci ha fatto maledire le ospitate fuori luogo, criticare gli sketch e i monologhi lenti, divertire con le esibizioni e i look discutibili, ma che, mai come quest’anno, ha ricreato una parvenza di normalità.