Che cos’è la letteratura, in fondo, se non un vizio borghese? Proprio oggi si potrebbe obiettare che non esista più la borghesia? E io risponderei: “Sì, proprio oggi che non esiste più la letteratura. Ma certamente ci sono i superstiti. Gli ultimi a morire“. Un esempio è Mario Vargas Llosa, emblema di quello che definirei lo “scrittore borghese“. Proprio il 28 marzo si celebra il suo compleanno: 85 anni. Un vero superstite della letteratura.
Oggi la borghesia è soltanto una categoria più legata a un immaginario storico. Oggi che tutti i futuri sono incerti, Mario Vargas Llosa ha raccontato quella decadenza della borghesia perché l’ha vissuta sulla sua pelle. Lui, il peruviano che ha iniziato a collaborare con Cuba sostenendo fortemente Fidel Castro in un’epoca in cui in Sud America se non eri comunista sparivi nell’oblio dell’ovvio. Il Sud America costellato di dittature militari, di governi repressivi, dove gli scrittori stavano cercando di capire chi fossero, quale fosse il loro ruolo, proprio perché non ancora definito. In Mario Vargas Llosa tutto questo emerge. Ad esempio nel romanzo La città e i cani, ambientato in una Lima militarizzata, dove tramite la vicenda narrata trapela proprio la figura dell’autore che ci racconta di un giovane che non riesce a vivere in quel contesto. Il personaggio dello scrittore borghese compare anche in Santiago Zavala, il protagonista del romanzo Conversazione nella cattedrale, un giornalista (come lo era Vargas Llosa, d’altronde) che tenta di allontanarsi dalla sua famiglia proveniente dall’alta società. È importante questo romanzo perché è il segno della frattura generazionale avvenuta proprio in quegli anni (i sessanta). La speranza dei figli di costruire un mondo in cui i principi borghesi delle loro famiglie fossero superati, e che per questo si sono mossi all’interno del loro contesto di classe per trovare gli strumenti della fuga.
Vargas Llosa ci racconta come in Sud America la classe borghese abbia rinnovato sé stessa. La sua stessa aderenza al Comunismo è stata contraddetta poi con la candidatura a Presidente del centro-destra in Perù. Ricordo che in un libro di Vargas Llosa che mi è piaciuto, Il narratore ambulante, compariva la figura dello scrittore borghese e del suo rapporto con la comunità dei Machiguenga. Un romanzo dove emerge la figura dell’etnografo che ricalca le prassi coloniali. Lo studioso che con il suo paternalismo va a invadere le culture. È un bel romanzo perché riesce a essere un’autocritica usata come strumento di descrizione della realtà storica. È una presa di posizione dello scrittore borghese Mario Vargas Llosa che decide di abbracciare le proprie radici sociali, così diventando un personaggio emblematico di quella stessa categoria da lui criticata. In questo c’è del genio, in fondo. Infatti gli è valso il Premio Nobel nel 2016, anno in cui pubblicava Crocevia, che io non ho mai letto.
Il Premio gli è stato conferito per la sua “cartografia delle strutture di potere“. Anche in questo caso vien da pensare come la figura che lui criticava fosse proprio quella stessa vincente che lui abbracciava. E forse Mario Vargas Llosa ne è anche consapevole, e con buon cinismo sudamericano sa che le nostre vite, seppure piene di errori, sono sempre vere e perciò necessarie. Gli auguriamo ancora tanti anni di riflessioni preziose sul nostro presente.
Luca Atzori, laureato in filosofia, ex direttore artistico del Teatro Piccolo Piccolo, Garabato e membro fondatore del Mad Pride di Torino. Drammaturgo, attore, poeta, cantautore. Autore dei libr: Un uomo dagli occhi rotti (Rizomi 2015) Gli Aberranti (Anankelab 2019), Teorema della stupidità (Esemble 2019) Vangelo degli infami (Eretica 2020) e dei dischi Chi si addormenta da solo lenzuola da solo (2017), Mama Roque de Barriera (2019) Insekten (2020) Iperrealismo magico (2020) Almagesto (2021).