Fonte foto: Pierino Coppola
L’età di Simone Principe: il cammino a ritroso del “finito fanciullo”
L’età, raccolta poetica di Simone Principe (Isernia 1998) pubblicata da Macabor Editore nel 2024, si specchia dentro il respiro sospeso di un “filo d’erba all’ingiù”, abbracciando la consapevolezza di un tempo irrimediabilmente trascorso eppure indelebile.
Dalla poesia L’età bambina:
“…Ora quel bambino
appeso
come un filo d’erba all’ingiù
flette il dispiacere
provocandomi voragini.”
Con versi intimi e malinconici, le tre sezioni del libro, L’età bambina, L’età amata e L’età epocale, si sporgono sul baratro degli addii, aprono progressivamente la perdita e la solitudine al dialogo con l’Altro, senza però evitare o idealizzare i passaggi impervi e taglienti dell’esistenza.
Tra “giochi mai avuti”, amori in lontananza e dispersioni, il cammino a ritroso del “finito fanciullo” esplora immagini di vita recise e abbandonate, “il giro all’inverso” delle lacrime.
La poesia Finito fanciullo:
“Bambino
dallo sguardo fermo
mi osserva,
sporco, impaurito, deluso,
ha smesso di crescere
per non avere anni che pesano
e nulla da ricevere,
ha già:
piedi nudi, radici nella terra,
mani piccole per aggrapparsi ai raggi del sole,
vestiti su misura,
ma non grandi tasche per i sogni
passeggiando li posa sui rami
guardandoli pendere a testa in giù.
Nel mio riflesso, il finito fanciullo.”
Dalle “radici” ai “rami”, la mancanza si imprime sull’albero della vita. A passi nudi, esposti alla polvere, alla paura e alla delusione, il bambino che non c’è più tende le sue “mani piccole” alla luce, ma, privo di “grandi tasche”, lascia i sogni “guardandoli pendere a testa in giù”. Così il ricordo dipinge nel “riflesso” una verticalità da percorrere al contrario, profondità e vertigine del distacco.
Come “un’anima spezzata”: il valore della similitudine
Continue soglie, morti e nascite quotidiane, portano l’Autore a percepire il significato di umanità nella sofferenza dei disprezzati e degli incompresi, nel rispetto della diversità. Mentre una sorta di “amnesia” conduce a ferire “quello che non conosciamo”, il concetto di individualità si invera e cresce nel “riconoscere in un’altra / la particella umana / da attraversare con cortesia”.
Rilevante all’interno de L’età è infatti l’uso reiterato della figura retorica della similitudine: che si tratti di “un gatto nero”, di “un pesce / arenato” o di una “primula”, nell’eco della fragilità l’essere umano si riscopre al di là dei suoi stessi confini, allargando l’orizzonte a una ferita condivisa. Una fraternità nel dolore risuona e accoglie dentro la pluralità animale, vegetale e minerale.
Nella poesia Sbagliato il “castigo autoinflitto” di un senso di inadeguatezza parte dalla dimensione personale per estendersi a una riflessione più vasta:
“Mi sento sbagliato
è un castigo autoinflitto,
spesso si manifesta con il confronto
con la tortura di guardarmi bambino.
È forse sbagliata la natura nelle sue imperfezioni,
nella sua disarmonia di forme e colori,
nella brevità di vita di alcune sue creature,
nelle sue esplosioni di forza,
nella sua sorprendente evoluzione.
Un’anima spezzata
non è come un ramo che può comunque germogliare,
un’anima spezzata è come una stella morente
dispersione di petali di polvere,
c’è chi venderebbe l’usato della propria anima
per chiudere il buco nero della propria incompletezza.
Mi sento sbagliato
eppure mi sento,
non so rispondermi.”
La similitudine, cuore del componimento, segna un importante spostamento di prospettiva dall’imperfezione all’”incompletezza”. Come “una stella morente”, “un’anima spezzata” partecipa nella sua “dispersione di petali di polvere” a qualcosa di universale, il mistero di un “buco nero” che non si risolve ma fa sentire il respiro.
L’arte pittorica della parola e la “crisalide” della “farfalla”
Di fronte alle crepe del ‘non più’, l’arte pittorica della parola si pone quale domanda attiva e creativa di fronte all’enigma del mondo, al “bianco futuro” che chiede forme e colori di sentimenti.
Dalla poesia Pittore:
“…Un pittore
ha disegnato e colorato il mondo,
ma non ha detto a nessun altro
come restaurarlo.”
Quando “tutto si riduce al ricordo” e sfuma nella desolazione, solo l’apertura verso l’Altro sembra offrire rinnovata forza di visione, in una ricerca di cambiamento capace di costruire e custodire varietà cromatica.
Attingendo alla tradizione simbolica che lega la farfalla alla trasformazione, alla rigenerazione e alla bellezza, la poesia Crisalide racchiude nell’”abbraccio” la speranza di nuove ali e riscatto:
“Il freddo copriva la tua pelle,
ad ogni lacrima
era come ali di farfalla alla morte.
Torna,
non posso muovere queste ali da solo
secche e sbiadite.
Vieni,
un abbraccio ci renderà crisalide,
ci prepareremo ad altri voli
farfalla dai tanti colori.”
Nella metamorfosi dal ‘tu’ al ‘noi’, la “crisalide” proietta “ad altri voli”, restituendo vividezza all’esperienza. Attesa e buio cambiano pelle e sguardo, ripongono “ali” annientate, “secche e sbiadite”, preparando alla grandezza di un cielo da attraversare insieme.
La libertà supera il corpo: a occhi chiusi ritrova spazio l’immaginazione.
Laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna, collaboro con il Poesia Festival e sono redattrice di «Hermes Magazine» e di «Laboratori Poesia». I miei versi sono stati selezionati nello spazio La bottega di Poesia de «La Repubblica» (Bologna, maggio 2019), nell’Almanacco «Secolo Donna 2022» (Macabor Editore 2022), in vari concorsi poetici e per riviste on line. Nel 2020 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, Cosa resta dei vetri (Corsiero Editore), e nel 2023 ho curato l’antologia Il grido della Terra (Macabor Editore).