Meyrink: arcani della casa dell'Alchimista

Meyrink: arcani della casa dell’Alchimista

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La Casa dell’Alchimista è il secondo romanzo scritto da Gustav Meyrink a farci compagnia lungo la serie di articoli dedicati al romanzo esoterico. Siccome abbiamo già accennato alla vita dello scrittore nell’articolo dedicato a Il Volto verde, qui mi piacerebbe accennare a come la filosofia esoterica è entrata a far parte del quotidiano per il nostro occultista.

 

 

Meyrink

 

Essere in connessione

A questo punto dovrebbe essere diventato chiaro che lo studio e la pratica in questo cammino viaggiano di pari passo. Così un occultista degno di considerarsi tale, applica nella vita i princìpi che abbiamo incontrato. Nello specifico vediamo come il primo su tutti, rimanere in ascolto per cogliere i segnali che ci vengono regalati, si mette in pratica nella vita. In una lettera all’amico Oldrich Neubert, nel luglio del 1932, Gustav Meyrink scrive di quale sia stata la scintilla che lo ha fatto mettere in moto nella ricongiunzione con il figlio defunto. Il contenuto di questa lettera aiuta il lettore a capire come i romanzi che l’autore scrive contengano allegoria e vita reale in misura non troppo dissimile:

“Non posso affermare che mi sia stato comunicato con parole dall’aldilà cosa dovessi fare, bensì è scesa su di me come una coscienza propria che diveniva sempre più desta, una coscienza che ho posseduto da millenni ma che avevo dimenticato. Dapprima mi destai, nel cuore della notte, e mi parve di dover bere un bicchiere d’acqua. Non avevo affatto sete, eppure era proprio sete, ma differente da come comunemente la si prova. Bevvi un bicchiere d’acqua, ma mi ci dovetti costringere, poiché non mi piaceva affatto. Allora ne fui d’un tratto conscio: mio figlio ha sete e io bevo al suo posto! Così mi fu improvvisamente chiaro che si stava instaurando nient’altro se non un rapporto con lui! Le particelle elementari che si distaccano dal suo cadavere e che erano scomparse insieme a lui quali parti costitutive della vita, esse hanno sete, non è lui ad avere sete”.

L’autore si spegnerà nel dicembre di questo stesso anno. Una fredda sera di inizio dicembre si siede sulla poltrona del suo studio con la finestra aperta a torso nudo. Contempla così la notte sino a guardare il sole sorgere e le conseguenze di questa scelta si rivelano essere mortali.

Accettazione

Tutto questo si può interpretare come una brutta depressione che porta ad un gesto estremo o come un aiuto da parte del tutto nell’accettare la propria fine. La capacità di ascolto di Meyrink che lo porta a sentire la vicinanza del figlio defunto proprio nel momento del proprio trapasso, a voi la scelta.

La casa dell’alchimista

Tenendo presente quanto letto però questo vediamo il contesto nel quale si sviluppa il romanzo. Ci troviamo nella Germania degli anni Trenta, qui in un paese volutamente non nominato dall’autore, c’è un edificio misterioso. Questa costruzione non è solo il luogo intorno al quale si ritrovano i protagonisti della storia ma è esso stesso protagonista. Voci dicono che a rendere tanto speciale l’edificio sia il fatto che a farlo costruire, durante il Medioevo, sia stato un vero alchimista: tale Gustenhover. Nel corso dei secoli l’edificio riesce a crescere e a prosperare e al suo interno raccoglie una quantità di storie e di individui non meno degni di nota. Tutte queste componenti attirano l’attenzione di un giovane reporter che decide di studiare da vicino il palazzo ed i suoi abitanti attuali. Anche gli inquilini degli anni Trenta sono tutte personalità eccentriche e interessanti, così come da di scrittura di Gustav Meyrink.

Gli inquilini

Al primo piano il giovane trova: il custode della locanda del Pavone, il diretto discendente dell’alchimista Gustenhover. Al piano terra c’è la bottega dell’orologiaio Hieronymus, il quale prendendosi cura degli orologi che vengono portati in riparazione, in qualche modo riesce a guarire le anime dei proprietari di questi preziosi oggetti. C’è anche il dottor Apulejus Ochs, un creatore di enigmi irrisolvibili per scacchisti. Ed è proprio Apulejus che consegna la chiave di lettura del misterioso palazzo al giovane, consegnandogli un manoscritto da leggere con attenzione. Per chiudere in bellezza, sul tetto in vetro del palazzo atterrano dei velivoli di natura ignota. Certo nulla di anomalo per un romanzo di Gustav Meyrink, dato che è lo stesso a dirci che:

“Un ulteriore espediente dell’opera d’arte consiste – almeno io sono di questa opinione – nel fatto che, dietro lo svolgimento, come pure dietro i protagonisti, vi sia un senso profondo, cosmico, non individuabile a prima vista. è chiaro che tale significato deve manifestarsi solo ai lettori attenti; il senso più profondo non deve mai agire in modo apparente”.

Invito

Ecco dunque il mio consiglio: se non avete mai letto La casa dell’Alchimista, leggetelo tenendo a mente le citazioni che avete incontrato nell’articolo. Se invece avete già letto questo romanzo senza trovarvi la moltitudine di segni e insegnamenti che regala, rileggetelo adesso, sempre tenendo a mente ciò che avete appena appreso. Questo perché mai come negli altri romanzi scritti da Meyrink, serve conoscere meglio l’autore per muoversi tra le parole che ci ha consegnato in La casa dell’Alchimista.


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