Ottantafame: un libro che racconta la rivoluzione a tavola degli anni ’80

Negli anni ottanta nasce il primo patto di fusione tra cibo industriale e cucina casalinga, un momento della storia italiana che si può definire storicamente inverosimile. Geneticamente abituati all’idea che il cibo di campagna, “della nonna” e fatto in casa fosse il vero vanto della nostra cultura, noi italiani ci lasciamo catturare dai prodotti dell’industria alimentare, che appaiono all’improvviso come una novità attraente da applicare in cucina.”

Questo è l’incipit del nuovo libro di Carlo Spinelli, alias Doctor Gourmeta, che in 256 pagine edite da Marsilio, racconta con meticolosità e analisi scientifico-antropologica un decennio straordinario. Gli anni ottanta sono ricordati ancora oggi come un’esplosione di eccellenze, di novità. Il decennio delle grandi contraddizioni, degli stravolgimenti politici, dell’affermazione di un certo benessere economico in l’Italia, insieme a quella di una nuova società in cui l’imperativo è il lavoro. Tutti questi aspetti vengono affrontati a partire dall’analisi delle abitudini alimentari che Spinelli espone con il suo innato entusiasmo, permeato dalla sottile ironia di chi, quel decennio, lo ha goduto da bambino e che ora, rivisto da adulto con consapevolezza, lascia emergere una vena critica e un velo di malinconia.

L’autore delinea uno scenario rivoluzionario: la donna, in quegli anni, afferma i propri obiettivi di fare carriera nel lavoro, nel tentativo di competere con gli uomini nella parità anche professionale, così l’industria alimentare arriva in soccorso a questi mutamenti dei ritmi di vita familiari facendo esplodere il mercato dei cibi pronti surgelati. Il cibo deve stare al ritmo, quello nuovo, più veloce, della vita lavorativa della famiglia e della donna che non può impegnare troppo tempo per stare ai fornelli. In questo contesto la materia prima si fà meno salutare ma più gustosa, si eccede nei sapori e nella seduzione visiva. Esplode la pubblicità alimentare, nel tentativo di rendere attraente ciò che naturale non è, ma in cui il linguaggio si fa rassicurante. È il trionfo del “buono come fatto in casa”. Ma vi sono anche dei movimenti di resistenza, quali la provincia, in cui l’eco della grande città arriva smorzata, e l’alta ristorazione, che riesce a imporsi grazie a chef leggendari quali Gualtiero Marchesi e Angelo Paracucchi.

Negli otto capitoli di questo libro, che sono, dopo l’introduzione,  Il cibo industriale entra nelle case, Paninari, yuppie e la nuova società da fast food, Lo spettacolo sexy della cucina in tv, I vizi alcolici della Milanodabere, La timida rivoluzione veg, La globalizzazione del gusto, La politica a tavola, L’alta cucina, Spinelli indaga su un’epoca per mettere in risalto i suoi pregi e difetti. A sorpresa, tra le pagine, l’autore regala alcune ricette particolari che attingono ora ai prodotti industriali, ad esempio la Girella, le caramelle, quelle dei gusti tipici del periodo, quali gli Gnocchi Mari e Monti o le Crêpes Suzette. Non mancano interventi interpretativi di chef contemporanei, da Cristiano Tomei, a Gualtiero Marchesi, a Carlo Cracco, a Mirella Cantarelli, ma il libro non si può certo definire semplicisticamente un libro di cucina. Piuttosto è un trattato in cui, attraverso il movimento del cibo, si delinea la storia e l’antropologia italiana.