Alda Merini, una donna fuori da ogni schema

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Poetessa e scrittrice Alda Merini nasce il primo giorno di primavera del 1931. A questo proposito scrive di se:

 

“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenare tempesta.
Così Proserpina lieve
vedo piovere sulle erbe
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera
Forse è la sua preghiera”.

 

Con questi versi si paragona alla primavera che piange lacrime sia di dolore che di speranza, vedendo piovere sui propri frutti maturi. Sono versi vicini alla vita di Alda Merini, che ha vissuto una vita di tempesta senza mai ammainare le vele, amandone tanto il bello quanto il brutto che questa le ha riservato. I versi delle sue poesie parlano sempre di esperienze vissute e sono come lei: crudi, veri, dolci. La sua è un’esistenza vissuta fuori da qualunque schema, dove l’unica costante si rivela essere l’amore vissuto senza riserve nella totalità di questo sentimento. Infatti ritroviamo, anche verso il marito che quando è ubriaco la picchia e la porta al ricovero in manicomio, una forma di amore assoluto tanto che ne suoi confronti Alda Merini non prova alcuna rabbia. Si tratta del secondo ricovero di natura psichiatrica per Alda Merini e dura per ben dieci anni. Ricorda di questi anni sia le violenze subite che quelle inflitte a chi è ricoverato con lei, ma anche l’amore; i suoi gesti d’amore per chi è più sfortunato di lei. Infatti ad Alda, con il passare del tempo, vengono concessi permessi per tornare a casa e lei investe questo tempo per mettere insieme più oggetti possibili: libri, sigarette, riviste e tutto quello che può portare gioia ai suoi compagni di sventura al momento del suo rientro.

 

È il 1979 quando Alda capisce che deve uscirne definitivamente e per farlo deve ricominciare a scrivere. E così fa, pubblicando nel 1986 “L’altra verità. Diario di una diversa”, un diario in cui Alda Merini racconta la propria permanenza decennale all’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano: elettroshock, torture, botte, umiliazioni e violenze subite da lei e dagli altri pazienti. Non ci sono fronzoli, nessun sentimentalismo, solo versi laceranti, ma vissuti e scritti da un occhio che rimane sempre vigile sulla realtà. Questo perché scrivere per Alda Merini è un modo per andare oltre, non conosce nemmeno lei il reale numero di componimenti scritti, scrive per assimilare e tenere per se stessa i sentimenti che hanno animato la stesura dei versi, si tratta di una vera e propria necessità.

 

Nel 1988 viene pubblicato “Testamento” che contiene i toccanti versi che Alda Merini dedica a tutte le donne:

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore
”.

Ma la bellezza Alda Merini la porta nell’anima così non serve cercare l’altezza nei versi che scrive, basta anche solo sentirla parlare per emozionarsi, come quando alla domanda di quale fatica portasse sulle spalle risponde di saper portare serenamente un delirio. Descrive il gioco con la follia e dichiara che non si tratta di un reale gioco, poiché alla follia non piace essere oltraggiata, bisogna saperla giocare ricordando però che il gioco non riesce quasi mai e che spesse volte è la follia a uscirne vincitrice.

Così come quando paragona il lavoro del poeta al ballo sfrenato della favola “Scarpette rosse”: dove con l’inganno una ragazza poco più che bambina viene invitata ad indossare un paio di scarpe rosse. Una volta indossate la sventurata non può fare a meno di ballare. Un ballo sfrenato che la porta alla morte. Questo è poetare per Alda Merini, un ballo che incanta ma che chi guarda non può immaginare quello che succede all’interno di chi danza su quei versi, dice: “si muore atrocemente di poesia” perché una volta che si inizia questa danza non se ne può più fare a meno.

Alda Merini non ha rimpianti legati ai tanti amori della sua vita, è più che soddisfatta della sua immensa produzione artistica, ricorda con umiltà l’aiuto dato agli emarginati. Non rimpiange nemmeno i due ricoveri causati dal troppo amore verso i suoi mariti; Ettore Carniti prima e successivamente Michele Pierri. In una delle ultime interviste la donna rivela di avere un solo rammarico nella vita, quello di non aver potuto vivere le sue quattro figlie, avute con il primo marito, come avrebbe voluto a causa della malattia.



Alda che con un soffio di primavera viene al mondo, in un modo altrettanto poetico si spegne il giorno di Ognissanti del 2009.  Lo fa all’ospedale San Paolo di Milano dove è ricoverata per via di un tumore osseo, fumando incessantemente nonostante i divieti. Lo fa da poetessa guerriera e clochard fautrice di queste parole:


“Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio.
Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…. per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.


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