Carola Rackete, la capitana ribelle

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Fonte foto: Vogue

 

“La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, nata in un paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità.”

 

Queste parole, dense di un alto contenuto morale, sono state pronunciate da Carola Rackete, balzata agli onori della cronaca il 29 giugno 2019, quando, al timone della Sea Watch 3, è entrata a Lampedusa, senza autorizzazione preventiva. Ha attraccato al porto del piccolo centro siciliano, invocando lo stato di necessità, dal momento che a bordo della nave c’erano 42 migranti che aspettavano di sbarcare da 17 giorni.

 

Ma vediamo di conoscere meglio questa eroina dei nostri tempi.

 

La ricercatrice ambientale è nata l’8 maggio 1988 a Kiel, una cittadina tedesca che si affaccia sul mar Baltico. Oltre alla lingua teutonica, parla correttamente l’inglese, lo spagnolo, il russo e il francese; si è laureata nel 2011 in scienze nautiche e successivamente ha conseguito un master in conservazione ambientale. Dopo aver terminato gli studi, non è rimasta con le mani in mano e, dal 2011 al 2013, è stata al timone di una rompighiaccio nel Polo Nord per la Alfred Weneger, uno tra i più importanti istituti oceanografici. Si è imbarcata, poi, come secondo ufficiale, sulla Ocean Diamond, un yacht da spedizione, nel 2014 si è occupata di volontariato nella zona della Zamchatka, in Russia, per la precisione di educazione ambientale per i bambini. Nel 2015 è stata a bordo della nave Arctic Sunrise di Greenpeace, che si occupava delle iniziative a tutela dei mari e dei poli. Nel 2016, si è arruolata nella ONG Sea Watch, come manager delle comunicazioni con gli aerei da ricognizione, prima di diventare comandante della Sea Watch 3.

 

L’episodio di Lampedusa

 

“Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So a cosa vado incontro ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo.”

 

Così ha affermato, contravvenendo all’ordine della Guardia di Finanza, che la intimava di non dirigersi – appunto – al porto di Lampedusa, già famosa per gli sbarchi di migliaia di disperati che attraversano tuttora  il Mediterraneo, in cerca di un futuro migliore.

 

Per questo nobile gesto Carola Rackete, su disposizione della Procura di Agrigento, è stata indagata, arrestata e messa ai domiciliari. Ha rischiato dai 3 ai 10 anni di reclusione – per aver forzato il blocco delle Autorità italiane – oltre alle misure previste dal Decreto Sicurezza bis, in cui è prevista la sanzione amministrativa dai 10.000 ai 50.000 euro. Dopo qualche giorno, il Gip Alessandra Vella ha emesso un’ordinanza in cui revocava gli arresti domiciliari alla capitana della Sea Watch 3.

 

Nelle motivazioni, il magistrato ha fatto riferimento all’imminente pericolo per le vite delle persone a bordo della nave. Infatti, secondo l’art. 385 del codice di procedura penale, l’arresto non è consentito quando, tenuto conto della circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero in presenza di una causa di non punibilità.

 

Inoltre, il reato di resistenza e violenza a nave da guerra nazionale (art 1100 Codice della Navigazione), che prevede una reclusione da 3 a 10 anni, non poteva sussistere, dal momento che la motovedetta della GdF che aveva intimato l’alt, non operava in acque internazionali, ergo, non poteva essere considerata una nave da guerra.

 

La reazione del Ministro Dell’Interno

 

Questa vicenda aveva provocato l’immediata reazione dell’allora Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, secondo cui è stata una sentenza politica, aggiungendo inoltre che “quel fastidioso capitano della Sea Watch 3 dovrebbe essere espulsa immediatamente, perché fa politica sulla pelle degli immigrati – da che pulpito – ed è pagata da chissà chi.”

 

A questo si è aggiunto il comportamento dei suoi seguaci che l’hanno coperta di insulti sia al momento dello sbarco che sui social network. Tanto per render l’idea della loro bassezza d’animo: all’udienza preliminare, Carola Rackete indossava una maglietta senza reggiseno, particolare propizio per scatenare offese di vario genere. Questo succede quando si è donne indipendenti, libere e soprattutto ribelli per una giusta causa, cosa che dovrebbe essere di encomio universale, ma chissà perché scatena reazioni scomposte, degne di oscurantismo del periodo  medievale.

 

Per fortuna qualcuno ha espresso opinioni opposte a quelle illustrate sopra, come per esempio quella dell’ex ufficiale di Marina, ora senatore, Gregorio De Falco, secondo cui l’unica colpa della capitana tedesca è quella di essere “una persona di alta dignità morale, che dimostra notevole forza e coerenza di fronte alle sue responsabilità”.

 

Adesso continua le sue battaglie in difesa dell’ambiente e delle biodiversità; lo scorso anno si è unita alla protesta degli ambientalisti nella foresta di Dannenröder, contro l’abbattimento degli alberi secolari, necessario per costruire un’autostrada; quella contestazione è stata interrotta con lo sgombero della polizia e lei – come altri attivisti – ha ricevuto un foglio di via, con divieto di avvicinarsi in quelle zone.

 

Carola Rackete è così: prendere o lasciare.


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