Fonte immagine in evidenza: www.destinazionemarche.it
Quando si sente parlare per la prima volta di “Arcevia e l’anello dei nove castelli”, o dei “castelli in aria di Rocca Contrada” si potrebbe pensare al titolo di un fantasy o di un film stile quelli dello studio Ghibli. Si tratta, invece, di una delle tante meraviglie semisconosciute di cui è disseminato l’entroterra italiano, nella fattispecie la regione delle Marche, non a caso incoronata “seconda più bella al mondo” nella classifica “Best in Travel 2020 – Top Ten Regions” di Lonely Planet.
Incastonati nel territorio collinare tra gli appennini umbro-marchigiani e il litorale adriatico, i nove castelli sono borghi tre-quattrocenteschi con case circondate da possenti mura fortificate, disposti a formare un anello quasi perfetto intorno al comune di Arcevia, in provincia di Ancona. Il nome di “castelli in aria” deriva loro dalla posizione strategica, in cima alle alture, per difendersi dagli attacchi nemici nel Medioevo, epoca della loro costruzione. Medievale era anche l’antico – e più evocativo – nome di Rocca Contrada con cui veniva indicata fino a inizio ‘800 l’attuale Arcevia.
Vicini tanto che in molti decidono di visitarli in una sola giornata, i singoli castelli possiedono ognuno la propria particolarità e meritano di venir apprezzati con maggior calma, così da godere appieno del silenzio e di quell’atmosfera onirica e fuori dal tempo che li avvolge.
Ripercorriamone velocemente le diverse caratteristiche seguendo l’itinerario in senso orario, da ovest a sud.
I nove “castelli in aria” di Arcevia
Il castello di Caudino, il più recente, datato 1300, era un importante baluardo per la difesa del territorio (nei suoi pressi si è combattuta una memorabile battaglia tra forze Guelfe e Ghibelline). Attualmente disabitato, si ripopola durante l’estate per l’arrivo dei turisti. Per arrivarci bisogna percorrere una tortuosa stradina nel bosco, modalità che ne accresce la dimensione di luogo “fuori dal tempo”. Al suo interno, al fianco all’antica torre campanaria, la chiesa di S. Stefano, ristrutturata nel ‘700, custodisce un bel affresco del ‘500 della Madonna di Loreto.
Il castello di Palazzo, abbarbicato sul monte Caudino come un piccolo presepe e dotato di mura possenti in pietra e cotto, era un tempo il più popolato. Le stradine e i vicoli che si inerpicano sul monte contribuiscono a far sentire i visitatori completamente immersi nell’atmosfera medievale, complice la struttura urbanistica ancora interamente intatta. Anche in questo caso è consigliata la visita alla chiesa dei Santi Settimio e Stefano, di epoca tardo barocca, e ai bellissimi affreschi dell’Oratorio S. Vincenzo.
San Pietro in Musio conserva solo la cinta – con il camminamento di ronda – delle sue mura originali, andate distrutte per un bombardamento nella seconda guerra mondiale. Tutto il borgo è stato restaurato in tempi recenti, con l’aggiunta di un affresco del pittore Bruno d’Arcevia, raffigurante il santo protettore che dà nome al paese. Fuori le mura, il Santuario della Madonna di Montevago, del 1571, dove si trova un dipinto di una Madonna col Bambino, ringraziamento da parte degli abitanti per lo scampato pericolo dalla peste.
Il castello di Nidastore, ai confini con la provincia di Pesaro: il suo nome significa “nido degli astori”, uccelli rapaci usati per la caccia durante il Medioevo, che figurano anche sullo stemma. Rapace predatore, secondo leggenda, era pure il signorotto locale, Raniero di Taddeo, che aveva la simpatica abitudine di appellarsi allo ius primæ noctis, ovvero invocare il diritto di sollazzarsi con le spose nella loro prima notte di nozze al posto dei legittimi consorti. Ora, seppur fossero tempi bui e si fosse avvezzi ai soprusi dei potenti, la cosa non andò a genio ai mariti del paese, che si riunirono nella “Comunanza degli Uomini” per ribellarsi alle sue prevaricazioni. Drastici, tagliarono la testa al toro – o meglio, al conte – e la gettarono nel pozzo del castello. Il vescovo della zona, tra l’altro parente prossimo del decapitato, decise che non fosse il caso di scherzare con detta “Comunanza”, e concesse loro la proprietà dei beni del nipote – anche perché con buona probabilità molti tra loro erano figli del defunto. Nidastore, oltre a succulento gossip d’annata, offre ai visitatori la possibilità di ammirare una cinta muraria ben conservata su cui poggiano direttamente le abitazioni e alcuni palazzi con portali cinque-seicenteschi in ottimo stato.
Il castello di Loretello, il più antico: costruito nel 1072 dai monaci di Fonte Avellana, è tuttora uno dei migliori esempi di architettura militare nelle Marche. Motivo delle molte visite sembra, però, piuttosto la terrazza panoramica, scenario prediletto per dichiarazioni e domande di matrimonio, da cui il soprannome di castello dell’amore. Per i viaggiatori meno romantici e più interessati alla storia locale, è presente un interessante museo della Civiltà Contadina.
Il castello di Montale si situa su di un poggio circolare, 280 m sopra il livello del mare, ubicazione strategica per la vicina Rocca Contrada, non per niente quest’ultima lo ha distrutto ben due volte durante il XIII° secolo per tentare di conquistarlo.
Il castello di Piticchio, circondato da una poderosa cerchia di mura, possiede un interessante palazzetto del ‘700, caratterizzato da un porticato e da un minuscolo teatro privato, visitabile nelle giornate del patrimonio del FAI. In maggio vi si svolge da qualche anno l’HeartH Festival, evento multidisciplinare sull’incontro tra uomo e natura. Nel 2007-08 il castello è stato scelto come location per un reality show prodotto da Endemol (sì, quelli del Grande Fratello), intitolato De italianse droom, il sogno italiano. L’atmosfera da sogno è rimasta nell’aria, visto che Piticchio è sede di un altro grande sogno: “Museogiocando”, un museo con 4500 giocattoli antichi e moderni per adulti e piccini, opera di un giornalista in pensione che ha deciso di mettere a disposizione gli oggetti raccolti nel suo passato da inviato creando uno spazio simile “alla caverna dei nipotini di Alì Babà, dove sia possibile recuperare la magia dell’infanzia”.
Il castello di Castiglione, detto “castello del pane” perché alla fine di settembre si svolge una festa tradizionale in cui il vecchio forno e il mulino tornano a vivere per far assaporare ai turisti odori e sapori del tempo che fu. Altro evento da non perdere, l’“Infiorata del Corpus Domini”, dove si possono ammirare per le stradine del centro cascate di fiori e composizioni artistiche variopinte.
Last but not least, il castello di Avacelli, che oltre per la bellezza architettonica, attira i curiosi per la chiesa di Sant’Ansovino, teatro di varie leggende connesse alla sua presunta appartenenza all’ordine dei Templari, tra cui quella di un antico tesoro sepolto in un monticello poco distante, oggetto di diverse spedizioni di ricerca – l’ultima delle quali terminata con l’apparizione del fantasma di un ragazzino che ha intimato ai cercatori di fermarsi. Chi ama piuttosto i tesori gastronomici non si farà sfuggire la sagra dell’asparago durante il mese di maggio.
Per concludere, se siete degli appassionati cercatori d’oro, degli innamorati alla ricerca del perfetto posto per dichiararvi, degli amanti della storia medievale o dei buongustai alla ricerca di sapori autentici e genuini, il tour dell’anello dei 9 castelli di Arcevia fa decisamente per voi. Per aggiungere un aspetto sportivo alla gita, fatela in mountain bike o facendo trekking.
Come avrete potuto notare, ben difficilmente vi basterà una sola giornata per apprezzare appieno la magia e la ricchezza degli affascinanti castelli in aria di Arcevia. A buon intenditore…
Scrivo da sempre. Da quando ancora non sapevo farlo, e scrivevo segni magici sulle tende di mia nonna, che non sembrava particolarmente apprezzare. Da quando mio nonno mi faceva sedere con lui sul lettone, per insegnarmi a decifrare quei segni magici, e intanto recitava le parole scritte da altri, e a me sembravano suoni incantati, misteriosi custodi di segreti affascinanti e impenetrabili, che forse, un giorno lontano, sarei riuscita a comprendere e che, per il momento, mi limitavo ad assaporare sognante. Sogno ancora, tantissimo, e nel frattempo scrivo. Più che posso, ogni volta che posso, su ogni cosa mi appassioni, mi incuriosisca o, più semplicemente, mi venga incontro, magari suggerita da altri.
Scrivo per Hermes Magazine e per altri siti, su vari argomenti, genericamente raggruppabili sotto il termine di “cultura“. Scrivo anche racconti, favole, un blog che piano piano prende forma, un libro che l’ha presa da un po’ e mi è servito a continuare a ridere anche quando tutti intorno a me sembravano impazzire (lo trovate ancora su Amazon, mai fosse vogliate darmi una mano a non smettere di sognare).
Scrivo perché vorrei vivere facendolo ma scriverò sempre perché non riesco a vivere senza farlo.
Scrivo perché, come da bambina, sono affascinata dal potere di questi segni magici che si trasformano in immagini, in pensieri, in storie. E, come da bambina, sogno di possedere quella magia che permette loro di prendere vita dentro la testa e nell’immaginazione di chi li legge.