Come ti dissacro la Commedia: un rotolo Divino dove impervia la domanda “chi avea fatto puzzetta?”

«Ed elli avea del cul fatto trombetta»

 

Vuol così, vuol cola anche il Dante ha problemi di gas intestinali?

 

Canto XXI, dal quale è tratta questa citazione, e dove sono descritte le pene nelle quali vengono puniti coloro che commisero baratteria, che per la legge del contrapasso vengono gettatti nella pece vizio che accomuna i lucchesi; ma anche quelli di Milano (sappiatelo!). Qui si colloquia con dieci demoni, ministri dell’inufficiosa bolgia nella quale il Buon Virgi e il caro Durante si sono avventurati.

 

Da qualche tempo mi sto appassionando alla figura Dantesca narrata dallo stesso protagonista della “Commedia” perché Divina l’ha fatta diventare Boccaccio, dopo aver capito che doveva andare a confessarsi per la troppo lussuria speculata nel Decameron. Quindi, come segno di redenzione, ma anche con grande umiltà, ha preso di petto la situazione e ha deciso di nominare questo rotolone di carta da parati della letteratura italiana, come si deve.

 

Partiamo col parlare del nostro amico Durante, che in questo ultimo anno sarà sommersa da mille palloncini per festeggiare (sottoscrivo, perché fa già ridere cosi) i 700 anni dalla sua ultima esalazione di bocca. Non ci è dato sapere quale sia stata quella di culo, ma nella Divina Commedia accade proprio in questo girone infernale.

 

Ricordiamo anche, che Dante era un Alighieri, che non era una famiglia nobile, ma nemmeno una famiglia da buttare. Ci stava dentro un botto in quel di Firenze, Toscana e compagnia bella, e che il suo cognome derivava da Aligeeri, che pareva avesse come significato: “Essere muniti di Ali” insomma se eri uno della famiglia di Dante, eri una redbull del 300.

 

E forse ce l’aveva nel sangue, e negli avi questa cosa di volare, volare con la fantasia verso territori umanamente impossibili da visitare ed esplorare. Cioè solo Jesus era arrivato a tanto, salendo anima e corpo e paradiso, ma non aveva veduto ed oltrepassato l’inferno come il nostro sommo poeta. Un vero eroe, di trentacinque anni, perché si, Dante nonostante venga sembra disegnato e scolpito come un vecchio baccucco era nel fior fiore della sua virilità maschile. Un uomo tutto d’un pezzo che se fosse esistito ai giorni nostri forse avrebbe fatto più bella figura di molte nuove leve tra influencer e scappati di casa. Una sorta di poeta maledetto, in grado di viaggiare per le forche caudine dei demoni dell’oltretomba, solo per vedere un pelo di farfalla della cara Bice perché come dice Benigni:

 

“Nessuna opera è immortale se non ci sono gli occhi di una donna dietro ad essa”

 

Insomma nel canto ventunesimo dell’inferno, Dante, dapprima impaurito e spaesato manda come sempre avanti il suo accompagnatore Virginio a interloquire con Malacoda, non ci è dato sapere se quest’ultimo soffrisse di ragadi o di emorroidi, per chiamarsi così, che gli conta su la “pastocia della cattiveria, umana, acclamato dai suoi discepoli diavoli manco fosse stato John Cena al suo ultimo incontro nella wwe. In questa pacifica conversazione in lingua “volgare” si hanno richiami (come in quasi tutto il libro) storici, a fatti, a persone realmente accaduti. Una sorta di realtà distorta più vera di quella reale alla quale siamo abituati.

 

Ed è in effetti questo il messaggio che ci lascia questo grande libro, di cui ora vi ho elencato solo un canto, quello che più piace alla sottoscritta ma in effetti c’è molto, moltissimo da raccontare. A partire dal fatto che un viaggio come quello di Dante, è un viaggio surreale ma che nella nostra testa probabilmente facciamo tutti i giorni. Perché, siamo seri, chi è che non si perde nella selva oscura dei propri pensieri, e non viene attaccato da una lonza, una lupa e da un leone. Prima di trovarsi all’alba di un nuovo giorno pronto per avventurarsi su una montagna a cono rovesciato? Tutti noi, come Dante. E Dante, molto probabilmente, ci ha fatto “vivere” la morte, attraverso allegorie e significati, ricchi di punti di vista, visti e rivisti e magari ancora nascosta. La Divina Commedia, ce la invidiano tutti, come ci invidiano mille altre cose, in Europa e nel mondo, perché non c’è nulla a parte la pizza e la carbonara come quei tre volumi stratosferici che abbiamo studiato alle superiori sulla faccia della terra. E se dobbiamo dire grazie a qualcuno, o dobbiamo chiedere scusa per andare fuori tema ogni volta, o per gli orrori su un saggio breve, lo dobbiamo dire e chiedere solo al signor Alighieri.

 

Insomma dinnanzi ad un’opera cosi potente come quella che ci è stata messa dietro gli occhi, il lettore deve solo sospendere l’incredulità e crederci per davvero, nel viaggio di Dante e compari. Un racconto che si divide in due grandi mondi, quello fisico del racconto in sé e quello dell’allegoria e del simbolismo, che è stato ripreso anche da scrittori del calibro di Dan Brown. Il malessere interiore di Dante, guarito grazie all’espiazione della pena di concedersi un viaggio nell’oltretomba dove “lasciate ogni speranza voi che entrate” era un eufemismo dinanzi alle immagini che la Commedia ci fa vivere, era un modo per dire che: viaggiare nel proprio dolore, conoscersi a fondo, è una, se non l’unica possibilità che abbiamo per farcela davvero. Ed è uno dei messaggi migliori, che a quel tempo, – che a tratti forse era più colorato di quel che poteva sembrare-ma forse per sempre, avremmo dovuto e dobbiamo continuare a rinnovare.

 

Se anche nel Medioevo, si poteva esorcizzare la morte, fare puzzetta di fronte ad un diavolo, farsi le pippe in chiesa pensando ad un’altra donna che non era propriamente tua moglie, innamorarsi, viaggiare negli inferi, incontrare lucifero, che se magna Giuda, e la Beatrice che aleggia tra le pecore i pastori del presepe, forse non tutto è perduto, e in quel andrà tutto bene, ci dovremmo credere un pochetto in  più.

 

Parola d’Alighieri, l’uomo che scureggia senza paura pure davanti a Lucifero, senza farsene cruccio (non ditelo a nessuno, ma alla fine di tutto si scopri che era stato Barbariccia. Un pò come i milanesi quando fanno rumori sospetti e sfortuna ti vuole, in quel momento, per strada con loro e immacambilmente danno la colpa a te).