In pochi sanno chi è Ana Mendieta, o meglio chi era, poiché purtroppo è conosciuta quasi esclusivamente per la vicenda della sua morte, piuttosto che per il suo importante ruolo nel contesto storico-artistico moderno.
Può essere invece significativo immergersi nelle vicende che riguardano questa eclettica artista, che da sola ha contribuito a cambiare il modo di guardare l’arte. Potremmo riassumere la sua esperienza con una frase che lei stessa scrisse:
“La mia arte è fondata sulla convinzione che esista un’energia universale che corre attraverso tutto, dall’insetto all’uomo, dall’uomo all’anima, dall’anima alla pianta, dalla pianta alla galassia.”
Scopriamo allora qualcosa in più sulla sua vita di quest’artista e sui suoi lavori, i soli in grado di farci comprendere fino in fondo la sua personalità fuori dagli schemi.
Fonte foto: villagevoice.com
Chi è Ana Mendieta?
“Pittrice”, “scultrice”, “performance artist” sono termini riduttivi. Ana è stata una delle artiste più significative nel panorama degli anni ’70, con il merito di aver generato un tipo di arte innovativa e sovversiva, ma al tempo stesso intrisa di ritualità e dai caratteri ancestrali.
Ana nacque a L’Avana nel 1948 da una famiglia cubana benestante. All’età di 12 anni, dopo che il padre si unì al movimento anti-Castro, fu costretta insieme alla sorella a lasciare la sua amata Cuba per andare negli Stati Uniti (attraverso un’ organizzazione umanitaria, in cui collaboravano il governo americano e la chiesa cattolica per far espatriare più minori possibili durante la rivoluzione cubana). Senza fissa dimora, nei primi anni Ana deve continuamente spostarsi tra campi profughi e orfanotrofi, finché riescono a riunirsi finalmente con il resto della famiglia in America. Nel 1979 anche il padre si unì alla moglie e alle due figlie, ma morì poco dopo.
In questo periodo la ragazza, trovando anche una stabilità con il suo percorso di studi, scopre il suo amore per l’arte e consegue una laurea e un master in pittura presso l’Università di Iowa. Da questo momento Ana inizia la sua sperimentazione con vari stili, tecniche e materiali differenti, producendo innumerevoli opere.
Gli anni ’70 sono anche gli anni in cui diverse personalità eccentriche emergono dallo scenario artistico (Cindy Sherman, Marina Abramovic per fare qualche nome) ed è in questo contesto che Ana si fa avanti con un suo originalissimo progetto artistico: facendo largo uso dei new media (fotografia, video e performance dal vivo) riesce ad esprimere le sue emozioni più intime, cercando di renderle universali e comprensibili al pubblico.
Nel 1978 Ana è già abbastanza famosa, dopo l’esposizione di alcune sue opere, e in quel periodo si trasferisce a New York; qui conosce lo scultore statunitense Carl Andre, con il quale si sposerà nel 1985.
Questi sono gli anni in cui la giovane donna è in pieno fermento artistico, ottenendo vari riconoscimenti (tra cui anche una mostra organizzata dal governo cubano, la sua madrepatria ) e sentendosi totalmente libera di esprimere la sua creatività.
L’ arte e il corpo
Il percorso artistico di Ana parte dai suoi primi anni universitari, tra 1972 e 1973, durante i quali l’artista sperimenta diverse tecniche per esplorare ed esaminare la soggettività femminile e l’identità di genere. Nel fare questo utilizza la fotografia come mezzo e come soggetto principale il suo stesso corpo: in Glass on Body, Ana manipola varie parti del suo viso e del suo corpo schiacciandole su una lastra di vetro, deformandole e snaturandole; mentre in Facial Hair Transplant, serie fotografica presentata per la tesi del master, Ana è fotografata con una finta barba (fatta con dei veri peli tagliati dal volto del suo amico Morty Sklar) con l’intento di analizzare l’apparenza estetica della donna e dell’uomo.
Fonte foto: Artsy.net
Il corpo è sempre al centro delle opere di Ana, spesso come mezzo di ribellione e di denuncia. Emblematica in questo senso è un’opera del 1973 intitolata Untitled (Rape Scene), che come annuncia il titolo è una reazione alla violenza sulle donne e, più in particolare, rappresenta la risposta allo stupro e omicidio di una studentessa universitaria di nome Sara Ann Otten.
Il lavoro consiste in una performance dal vivo, in cui Ana invitava professori e studenti al suo appartamento facendosi trovare nel mezzo di una stanza, ricreando la scena dello stupro esattamente come era stata descritta dalla cronaca. Lei restava lì legata, immobile e “sanguinante” per circa un’ora.
Fonte foto: Artribune.com
L’artista era, infatti, convinta che l’unico modo di denunciare un mostruoso atto di violenza, quale è lo stupro, era far sì che le persone si trovassero di fronte all’accaduto stesso, restandone traumatizzate.
L’appartenenza alla Madre Terra
Nel corso di varie sperimentazioni, il sentimento di base che influenza l’operato di Ana è sicuramente quello dell’appartenenza ancestrale alla terra. Il distacco forzato e violento dalla sua adorata Cuba, negli anni dell’infanzia, fu sentito infatti come uno “sradicamento” e portò l’artista ad elaborare un determinato concetto di “natura” secondo il quale tutte le creature del mondo appartengono alla Madre Terra; fanno quindi il loro corso, nascendo, morendo e ricominciando il ciclo vitale a partire dalla natura stessa.
È così che nascono i cosiddetti “earth-body works”, lavori di terra-corpo.
Siluetas e Fetish (entrambi realizzati tra 1973-1980) sono una serie di performance e sculture all’aperto, iniziate da un viaggio che Ana compie in Messico, nelle quali l’artista si distende nuda in scenari naturali e si ricopre di fiori o di terra e altri materiali. Questo tipo di rappresentazioni subiscono poi un’evoluzione, finché le siluetas non diventano delle semplici sagome, rappresentanti un corpo, il corpo di Ana. Si fondono quindi con gli elementi naturali quasi come se stessero per ritornare al loro stato originario e primordiale.
Fonte foto: Artsy.net
Ana successivamente ha il suo primo vero studio a Roma, dove si reca nel 1983 grazie ad una borsa di studio ricevuta dall’ American Academy. Esiste un documentario realizzato dalla nipote Raquel Cecilia Mendieta, intitolato Mendieta in Rome, che racconta dei viaggi dell’artista lungo la penisola che donarono nuova linfa e nuovi stimoli per la realizzazione di opere prevalentemente scultoree. Ma questa nuova fase è bruscamente interrotta dalla tragica scomparsa dell’artista.
La tragica morte: “where is Ana Mendieta?”
Ana Mendietà morì l’8 settembre del 1985, a soli 36 anni, dopo essere caduta dal suo appartamento al 34esimo piano nel Greenwich Village. Dopo 8 mesi di convivenza con suo marito Carl Andre, c’è chi ritiene che sia stato proprio lui a spingerla fuori dalla finestra, soprattutto perché poco prima dell’accaduto i vicini avevano sentito la coppia discutere violentemente.
Fu lo stesso Andre a telefonare la polizia, affermando “Mia moglie è un’artista e io sono un artista. E abbiamo litigato sul fatto che io fossi esposto al pubblico più di lei. E lei è andata in camera da letto, io l’ho seguita e lei è uscita dalla finestra.” Lo scultore fu accusato di omicidio, mentre il suo avvocato lo difese descrivendo la morte di Ana come un possibile incidente o un suicidio. Andre infine fu giudicato non colpevole per mancanza di prove sufficienti. La sentenza causò la risposta di molte femministe provenienti dal mondo dell’arte e non, soprattutto considerato che chi conosceva la ragazza affermava che non si sarebbe mai uccisa, visto che amava la vita.
La questione resta avvolta nel mistero. Ma il segno lasciato da Ana è evidente; infatti nel 1992, il Guggenheim Museum di New York inaugura una galleria d’arte a SoHo. La cerimonia di apertura fu memorabile non tanto per le opere d’arte, quanto per ciò che accadde fuori la galleria: centinaia di attiviste e protestanti femministe camminano per la strada con striscioni e poster che dicevano “Where is Ana Mendieta?” (Dov’è Ana Mendieta?).
Fonte foto: Artsy.net
Poi nel 2010 (a 25 anni dalla scomparsa di Ana) a New York si tengono una mostra e un simposio per commemorare l’anniversario della morte dell’artista. Ancora, nel maggio 2014, un gruppo femminista chiamato No Wave Performance Task Force organizzò una protesta in occasione di una retrospettiva dedicata a Carl Andre, depositando sangue e budella di animali di fronte al luogo della manifestazione, scrivendo “I Wish Ana Mendieta was still alive”.
La morte di Ana purtroppo ha messo in ombra il pionierismo della sua arte. Ma bisogna sempre tenere a mente che Ana Mendieta non è una martire, né semplicemente un’artista femminista.
Ana è molto di più; è una personalità imprevedibile, forte, coraggiosa e piena di energia.
La sua arte è libera e pura. Tra cruda fisicità, spirito ribelle e un mistico legame con Madre Natura, Ana ha saputo rappresentare pienamente il senso della vita.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.