La pasticca divina: Amor che nulla amato amar t'infinocchia (pt1)

La pasticca divina: Amor che nulla amato amar t’infinocchia (pt1)

Ben trovati miei cari impasticcati. Le pasticche sono tornate anche questa settimana e pongono l’attenzione sull’opera prima della letteratura italiana. Questa infatti è la pasticca divina dedicata al quinto canto della Commedia di Dante.

Premessa alla pasticca divina

Perché ho scelto il quinto canto di Dante? Ovvero quello di dedicato alla lussuria, a personaggi goderecci e alla tragica storia di Francesca e Paolo? Perché è uno dei canti piu potenti che abbiamo nel tomo del nostro Alighieri e perché al suo interno possiamo trovare tanti riferimenti alla nostra realtà che in questo periodo ha bisogno d’amore più che mai. Ma partiamo nel nostro viaggio nell’oltretomba.

Il quinto canto della Divina Commedia

Abbiamo oltrepassato ormai la selva oscura, incontrato le tre fiere e passati nel limbo dove è spuntato il buon Virgilio che accompagnerà Dante nel suo viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ed ora ci ritroviamo nel secondo girone infernale.

Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.

Qui, abbiamo già la prospettiva di qualcosa di raggruppato e più stretto dei cerchi della prima parte, perché, appunto l’inferno ha la forma di un cono gelato, più si scende più si restringe. Come in tutta la commedia, troviamo dei personaggi che sono contemporanei a Dante. Questa è una grande peculiarità del manoscritto, perché Durante è stato l’unico a mandare proprio a morte, letteralmente parlando persone, a suo tempo ancora in vita.

Minosse

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Non solo, in questo canto troviamo anche una vecchia conoscenza di Virgilio, Minosse, presente anche nell’Eneide. Il mitologico re di Creta, collocato nella prima parte del canto, che funge un po’ da introduzione, descritto come un mostro orribile. Anche nell’ Eneide Minosse si trovava nell’oltretomba, ma aveva le vesti di giudice, qui invece ha le fattezze di un diavolo che con la sua lunga coda, avvinghia le anime tante volte quante le volte in cui esse devono discendere all’inferno. E’ proprio Minosse che si accorge che Dante è vivo e lo invita pure a stare attento al signor Virgilio in quanto anima dannata, ma qui, è proprio il gran duca a scansarlo, come aveva già fatto con il Caronte e dire a lui che: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare“. Tradotto se erano li, c’era da ringraziare nostro signore benedetto e di non rompere troppo gli zebedei.

E qui incomincian le dolenti note

Notate niente? Ciò che introduce questo paragrafo è una figura retorica importante: si chiama sinestesia associa due sensi differenti (tatto ed udito) e ne ritroveremo molte in quest’opera. Come troveremo altrettante figure retoriche che dimenticheremo facilmente dopo la maturità. Le dolenti note di Dante sono riferite ai lamenti che si sentiranno e ad una serie di suoni che rende questo canto molto “orecchiabile” al lettore.

 Dati statistici sulla goduria di altri tempi

Pasticca

Fonte foto: Web
Semiramide, Cleopatra, Elena di Troia

Lo sapete che il mondo antico in generale era pieno zeppo di donne molto goderecce che le pornostar de noialtri gli fanno un baffo di gigiabaffa? Non sto scherzando, oltre al caro Paolo e alla dolce Francesca, nel secondo girone infernale ci sono un sacco di anime e Dante ne nomina alcune come Semiranide, imperatrice e regina degli esseri e di molti popoli esperta in lingue (non ci è dato sapere quali).

“Libito fé licito”

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.

“Libito fé licito” E sapete che vor di? Vuol dire che la cara Semiranide aveva addirittura posto una legge che rendeva libero l’amore incestuoso. Pensa te, che santarelle queste donne d’epoca! Insieme a lei ritroveremo Cleopatra (di cui conosciamo i vizietti con Cesare e Antonio) Didone (che si uccise per non innamorarsi di Enea), la bella Elena di Troia che ha fatto scatenare una guerra per sua vagina (pensate che potere abbiamo noi donne) ed altre millemila ombre…spinte dalla bufera infernale.

Le tre similitudini con i volatili

In questo canto, (si proprio in questo!) Dante attraverso la sua poesia da luce ad un fatto che allude ad una cosa a cui siamo abituati, ovvero parlare di uccelli quando si tratta di sesso. Ma attenzione, il poeta fiorentina utilizza delle similitudine paragonando le anime che volano trasportate da questa tempesta continua a due tipi di uccelli: gli stornelli in primis e le gru poi. E poi ce ne sarà una terza con i colombi, dedicata a Paoletto e a Franceschina.