La selva oscura: rimettici la pasticca divina come noi rimetteremo la Commedia

La selva oscura: rimettici la pasticca divina come noi rimetteremo la Commedia

Illustrazioni copertina di Alessandra Moscatelli

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.

 

Apro cosi ufficialmente le danze, alle #pasticchedivine.

Ben ritrovati miei adorati impasticcati. Sono tornata ed insieme a me, è tornato anche lui, in queste pasticche letterarie speciali dedicate al più grande poema che sia mai stato scritto sulla terra: La Divina Commedia.

Si perché dopo avervi decantato le più grandi opere ed i più grandi poeti italiani mi è venuto lo strambo pensiero di parlarvi di un’opera, che tutto il mondo ci invidia. L’opera maggiore mai scritta sulla faccia della terra. Si perché per la Divina non bastano neppure i rotoli di carta igienica per saperne sempre di più. Ce la invidiano tutti: dai francesi ai tedeschi, arrivando ai normanni e pure gli extraterrestri. Persino la Gioconda, avrebbe un valido motivo per tornare in Italia. Ce la invidiano perché nessuno, neppure la Rowling, ha mai fatto fare un viaggio cosi insidioso, drammatico, a tratti addirittura comico, come quello intrapreso da colui che ha deciso di mettere nero su bianco i canti d’Inferno, Purgatorio e Paradiso. Nessuno, solo il nostro amatissimo Dante.

Le pasticche divine

Ed è proprio per questo che, una volta al mese, vi proporrò una pasticca interamente dedicata ad un canto del poema. Un po’ perché è un viaggio che mi ha sempre affascinato, (quello dell’Oltretomba), un po’ perché Dante, non mi sta più cosi tanto sulle scatole come alle scuola superiore, e lo dobbiamo ammettere, se abbiamo un minimo di capacita retorica e dialettica in Italia lo dobbiamo a gente come Alighieri Durante.

La selva oscura

La selva oscura

Disegno di Lisa Gelli, Illustrazione realizzata per la mostra collettiva Dante Plus 2018 – “Uno, nessuno e centomila volti” a cura di Marco Miccoli

Da sempre ci inculcano l’idea del buio come peccato, in cui Dante si trova prima di riveder la luce e le allegre stellette. E il bosco, o meglio la selva e le sue insidie, rappresenta per molti l’allegoria prima del peccato. L’oscurità. L’andare a tentoni, l’avere paura, il ricercarsi costantemente senza essere neppure troppo sicuri di ritrovare se stessi e la retta vita la quale allegoricamente rappresenta l’avere fede, è la vita secondo, seguire gli insegnamenti cristiani, ovvero la strada giusta, che bisogna intraprendere per poter arrivare a Dio. Ma forse non è solo questo….

Ma il peccato è solo di Dante?

Ognuno di noi ha la sua selva oscura nella quale spesso si perde. Ognuno di noi ha quella parte che non si deve spiegare agli altri eppure c’è e fa paura. Dante è un umano a tutti gli effetti, e si comporta da umano, ha paura, non sentendosi al sicuro. Nonostante affronti il suo viaggio dentro questo buio a circa 35 anni, ma non si è mai pronti davvero per guardare l’oscurità che siamo anche ( e soprattutto) dentro.

Ma perché siamo tutti nella selva oscura?

Umanità, è il primo grande aggettivo, nome che dovremmo dare a questa Commedia nonostante mister Boccaccio l’abbia ribattezzata “Divina“. Già dall’inizio l’umanità, la si legge a chiare lettere:

“Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!”

Dante, ha paura. Non solo egli, riconosce che la sua umanità l’ha fatto sbagliare, e del suo sbaglio Dante, teme. Ma c’è anche un’altra riflessione che va fatta. Tutti sbagliamo. Eppure c’è chi lo riconosce e chi va avanti nello sbagliare. Non solo, spesso, chi si sente davvero sbagliato, come il povero Durante, forse tanto sbagliato non è. Anzi, potremmo quasi dire, a gran voce che, sul piano politico Dante, non è poi cosi sbagliato, ma solo confuso, gli sbagliati, a quell’epoca, semmai erano altri.

L’attualità storica del politico ecclesiastico

Dante racconta di sè stesso che a 35 anni aveva perso la “diritta via“, in quanto era stato esiliato per motivi politici, ma avrebbe semmai dovuto dirlo degli altri, quelli cioè del partito conservatore filo-papista, i guelfi neri, che l’avevano espulso da Firenze, insieme ad altri leaders del partito guelfo di parte Bianca (che oggi avremmo chiamato col nome di “cattolici democratici”). Perché se proprio dobbiamo dirla tutta erano stati quegli stronzi dei guelfi Neri a smarrire la “diritta via“, il senno etico e politico, lasciandosi manovrare dai peggiori cattolici che la Firenze avesse mai dovuto subire: uno su tutti papa Bonifacio VIII, e, che con un colpo di mano (o meglio con un colpo di culo) avevano permesso loro, nel 1301, di prendere tutto il potere della città. L’inferno, che si aprirà poi di seguito agli occhi di Dante ed il suo baldo compare Virgilio, è stato scritto da un uomo politicamente sconfitto che fa un esame di coscienza sui limiti del proprio partito e ne approfitta per fare delle considerazioni più generali sul valore della politica, sul valore della religione, ma anche sul valore della vita stessa.

L’allegoria Dantesca ed il simbolismo del libro

La “selva oscura” è un immagine che si rifà all’ Eneide. E’ un immagine che si rifà alla  “corruzione” sociale, ma anche a molti tratti personali dell’essere umano. Dante era entrato in politica a 30 anni, ma a già 35 ne aveva praticamente piene le uova. La politica, specie quella fatta in nome della fede religiosa, l’aveva disgustato, l’aveva proprio portato a smanettarsi rotoli e rotoli di carta igienica che non vi dico a che cosa serviva. (Ma non di sicure come carta da scrivere.)

Tutto ciò era diventato così terribile che la  descrive come non meno grave della morte. E’ “selvaggia” perché violenta, senza valori, “aspra” perché inevitabilmente porta a tradire se stessi, “forte” perché notevole è la robustezza del consenso che gode non solo da parte dei politici corrotti ma del popolo stesso che ritratto nella sua ignoranza, non si schiera mai con il più debole.

Le tre fiere simbolo del degrado umano

Le caratteristiche della corruzione e dell’umanità sporca sono praticamente le stesse, nella loro semantica: lussuriaavarizia e superbia rappresentante da tre fiere. La lonza simile ad un leopardo o pantera maculata, agile, rapida, esteticamente molto bella, come la primavera, stagione degli amori, rappresenta gli istinti primordiali dell’eros. La lupa sempre affamata è la sete di potere economico. Il leone superbo, altero, è espressione del potere sul popolo.

Come si esce da questa selva?

Procurava dolore non meno della morte,
ma vi racconterò del bene che vi trovai
parlandovi delle altre cose viste.

Dal buio, dal dolore bisogna passarci sempre. E bisogna raccogliere “quel bene che vi trovai” anche se nelle tenebre stentiamo a riconoscerlo. Dante ce lo insegna da sempre, sia nella sua rocambolesca vita mortale che nel suo viaggio tra inferno, purgatorio e paradiso. E’ un viaggio che va fatto, quello nel dolore. E soprattutto, ogni passo fatto ha un valore fondamentale. Dante ci insegna il coraggio, ma ci insegna anche la fatica e la paura dannatamente terrena ed umana di un mondo, che non siamo abituati a conoscere. Inoltre, Dante ha una guida, qualcuno che oltre ad accoglierlo, gli fa da spalla, lo sorregge, questo significa che forse non è cosi scontato avere una mano, che ti rialza nei momenti di difficolta.

Vi lascio, miei cari impasticcati con questo Benigni che funge un po’ da Virgilio dei noialtri e ci aiuta a comprendere al meglio la grandezza di questo poema.