Chi è Anish Kapoor?
Per chi non lo sapesse Anish Kapoor è considerato l’artista degli opposti: vuoto e pieno, concavo e convesso, chiaro e scuro, cielo e terra, chiaro e scuro, nero e bianco. Le sue opere sono spesso astratte, a volte addirittura appaiono senza senso, altre ancora piu concettuali ed evocative che mai. Esse hanno il potere di coinvolgere e allo stesso tempo spiazzare, chi le guarda, intrecciando una relazione dinamica e complessa con il pubblico e lo spazio che l’artista ha a sua disposizione. Ed è per questa immensa capacità di imprimersi nell’immaginario collettivo, mantenendo al contempo un’aura enigmatica e misteriosa, che Anish Kapoor è considerato da molti il più grande scultore vivente.
La sua storia
Fonte foto: fadmagazine.com
Nasce a Bombay nel 1954 in India, da padre indiano e madre ebrea irachena, ma diciannove anni si trasferisce in Inghilterra, dove ancora oggi Anish Kapoor opera e vive, per coltivare la sua enigmatica arte che sprigiona sia le sue origini ma anche tanto occidente. Kapoor prende ispirazione dalle celebri macchine di Marcel Duchamp e dalle opere di Paul Neàgu, che diventerà il suo maestro. Sin dalle prime installazioni degli anni 70 emergono con grande potenza alcuni temi portanti che caratterizzeranno tutto il suo percorso artistico: l’androgino, ovvero la dicotomia femminile-maschile, e la sessualità.
L’india, Venezia, lo sprofondare ed il riemergere
Nel 1979 torna in India e questo viaggio lo riconnette alle sue radici, lasciandogli in dote la consapevolezza di essere una sorta di artista di confine, in bilico tra Oriente e Occidente. Una mostra, quella a Venezia che pare fatta apposta per la Serenissima, ovvero ci porta a sfrondare ed emergere, nel nostro lato piu scuro.
La mostra a Venezia
La mostra di Kapoor sarà ospitata in due luoghi diversi, infatti oltre alle sale delle Gallerie, sarà Palazzo Manfrin a completare la rassegna dell’artista. Si tratta di due luoghi differenti ma legati da una storia comune: la collezione di dipinti che apparteneva originariamente alla famiglia Manfrin dal 1856 costituisce uno dei nuclei necessariamente fondamentale delle Gallerie dell’Accademia.
Una città che parla all’arte
“Sento un profondo legame con Venezia”. Ha rilasciato questa dichiarazione ai microfoni della conferenza stampa durante la presentazione delle sue opere alle Gallerie dell’Accademia. Un legame particolarmente radicato nella particolare configurazione della città che come gia detto, porta ad avere sentimenti opposti, tra lo sprofondare e l’emergere, nel vero senso della parola. Due poli che ritroviamo anche in queste opere, dove bellezza e violenza sono fortemente intersecate. Un percorso che oscilla, restando in equilibrio funambolico dalla luce all’ombra, metaforizzando agli occhi del pubblico il sublime mistero della vita e il dramma della morte.
La mostra nelle Gallerie dell’Accademia
Fonte foto: post-ism.com
Qui l’artista presenta uno degli ultimi lavori creati con il Kapoor Black che in origine si chiamava “Vantablack” , mettendo in atto una contrapposizione frontale molto forte che da un lato accentua la massima luminosità e dall’altro l’oscurità assoluta. Utilizza colori carnali, molto forti, come il rosso sangue che mescola al bianco e al nero. Creando quasi degli sfregi nei quadri, e delle pretuberanze “carnose” alle sculture. Ci mostra la potenza violenta della vita.
La mostra a Palazzo Manfrin
Fonte foto: whitewall.art
Anche in questo angolo di meraviglia, Kapoor sperimenta la sua arte, attraverso l’utilizzo dei colori nero, bianco e rosso, in varie forme. Il palazzo è in stato di ricostruzione, questo apporta alla mostra ulteriore impatto scenografico, e una forte vena metaforica. Un palazzo che era in degrado, viene utilizzato per una mostra dal forte impatto scenico, in occasione anche della Biennale, e questo ci fa riflettere sul trovare nuovi modi, per riportare alla luce, attraverso anche le opere d’arte contemporanea di grande suggestione, quello che è stato un palazzo nobile di grande sfarzo. Ecco che cosa dice l’archittetto Foscari a riguardo:
“Il progetto di ricostruzione ha voluto avviare una nuova fase di metamorfosi del palazzo preservandone tuttavia lo stato di rovina che attesta il degrado indotto da decenni e decenni di abbandono. Integrando sia progettazione che preservazione, l’intervento lascia in evidenza le tracce della storia del palazzo dilapidato, favorendo condizioni irriproducibili di grande intensità e intimità con le opere esposte“.
Insomma una mostra da non perdere, una mostra che oltre a lasciarci molto probabilmente a bocca aperta, ci lascia anche uno scorcio di riflessione di significato intenso. Una rinascita, che parte dal dentro, dal dolore e volge la sua meraviglia, anche al di fuori di noi.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.