Ogni tre giorni in Italia una donna viene ammazzata da un uomo che non le riconosce il diritto di decidere autonomamente della propria vita. Il termine femminicidio, infatti, non vuol dire solamente che una donna è stata uccisa. Questa parola indica soprattutto perché è stata ammazzata. Una donna uccisa durante una rapina, di fatto non è una vittima di femminicidio ma di omicidio.
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Una definizione di violenza contro le donne
L’articolo 1 della Dichiarazione Onu in occasione della Conferenza Mondiale tenutasi a Vienna nel 1993 per l’eliminazione della violenza sulle donne così recita:
“E’ violenza contro le donne ogni atto legato alla differenza di sesso che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale, psicologico o una sofferenza della donna, compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o l’arbitraria privazione della libertà sia nella vita pubblica che nella vita privata”.
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Dalla violenza psicologica…
Quando si parla di violenza contro le donne si intende qualsiasi atto violento agito contro una donna in quanto tale o che colpisce in modo sproporzionato le donne. Per atto di violenza si intende qualsiasi azione volontaria, esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà. Molto spesso si inizia con la violenza psicologica e verbale per minare l’autostima della donna. C’è poi la violenza economica che consiste nel controllo al centesimo delle spese della donna alla quale può anche essere impedito di lavorare per aumentarne la dipendenza.
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…alla violenza fisica
Per quanto una donna possa sottomettersi ad un uomo manipolatore non sarà mai al sicuro con lui. Si innesta infatti una spirale ascendente di violenza, e nonostante lei cerchi di assecondarlo per lui non sarà mai sufficiente. Troverà continuamente da ridire e le scenate di gelosia si faranno sempre più violente. Arriveranno il primo schiaffo e poi le botte che lasciano i lividi. Lo stalking, la violenza sessuale e l’uccisione sono le estreme conseguenze di un percorso di brutalità che, troppo spesso non viene denunciato.
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Perché?
Esiste una cultura patriarcale, ufficialmente combattuta e sconfitta a partire dalle rivolte studentesche del ’68 e dalle battaglie femministe degli anni ’70, che è ancora subdolamente presente. Lo è ogni volta che ad una bambina viene chiesto di aiutare la mamma nei lavori di casa mentre al fratellino no, perché è un maschio. Quando ad un bambino che piange si dice di non fare la femminuccia. Ogni volta che ad un colloquio di lavoro solo alle donne viene chiesto se hanno o intendono avere figli. È la paura che solo le donne provano quando percorrono un tratto di strada da sole al buio.
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Quindi
E gli esempi sarebbero ancora moltissimi. Sembrano cose banali ma è dall’insieme di tutte queste situazioni che si sedimenta il concetto che la donna ha un ruolo subordinato e secondario rispetto all’uomo. Fino alla ribellione di Franca Viola, nel 1965, la donna che veniva stuprata doveva essere grata al suo stupratore che sposandola le restituiva l’onore. Franca urlò il suo NO sostenendo che a vergognarsi doveva essere chi compie certe oscenità e non chi le subisce. Eppure ancora ai nostri giorni le donne che subiscono violenza vengono spesso accusate di essersela cercata.
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“In fondo lui l’amava moltissimo”
Le parole sono importanti e sarebbe ora che sulla stampa non si leggessero più parole come queste. Un uomo che stupra, picchia o ammazza una donna non lo fa perché l’ama troppo. Mai. Lo fa perché nel suo immaginario quella donna non aveva diritto di dirgli di no. Che questa convinzione sia dovuta ad un fattore culturale, o se ci sia dietro un fattore patologico è da valutare in modo da prendere gli opportuni provvedimenti ma non diciamo mai che ha agito per amore.
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Dalla parte delle donne
In molte città sono nati i Centri Antiviolenza, grazie a finanziamenti regionali e nazionali. I comuni ne affidano la gestione ad associazioni o cooperative che operano avvalendosi di un team di esperte: psicologhe, avvocate ed assistenti sociali. Il primo contatto delle donne abusate avviene, in genere, con volontarie opportunamente formate, che dedicano il loro tempo libero a questo servizio. È importante che sul territorio si crei una rete tra i Ceav, i Servizi Sociali, i Pronto Soccorso, i Consultori e le Forze dell’Ordine. Le donne che trovano il coraggio di chiedere aiuto devono sentirsi accolte e non giudicate anche quando decidono di tornare con il loro carnefice. In fondo anche a loro è stato insegnato che sta ai maschi decidere anche per le donne. E quando cresci immagazzinando queste lezioni è difficile uscirne.
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Sono episodi talmente frequenti che si rischia di farci l’abitudine ed invece è bene tenere accesa l’attenzione su questi fatti. Non passarli sotto silenzio. Parliamone, conosciamo queste donne che hanno subito tanto e costruiamo assieme una nuova cultura più equa e giusta.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.