La statua in marmo a grandezza naturale è tata completata da Antonio Canova nel 1779. Nonostante la pregevole esecuzione e lo straordinario realismo delle figure è una delle opere giovanili dell’artista, realizzata su commissione dell’allora Procuratore veneziano di San Marco Pietro Vettor Pisani.
L’artista
Antonio Canova (1757-1822) è uno dei maggiori esponenti di quella corrente settecentesca chiamata Neoclassicismo che ispirandosi all’idea di perfezione e di grazia della scultura classica greca e latina, ricerca la perfezione delle forme e degli equilibri nelle proporzioni, per creare quei canoni di bellezza ritenuti ideali. Inoltre nel pensiero neoclassico, e nel lavoro di Canova in particolare, l’elemento innovativo è costituito dalla resa di espressioni più vivide sia nei volti che negli atteggiamenti corporei dei soggetti. Considerato a tutt’oggi uno dei più grandi maestri scultori italiani di tutti i tempi, l’artista veneto ben presto si trasferì a Roma da dove si mosse in tutta Europa per le diverse e prestigiose committenze. Oltre al bellissimo “Dedalo e Icaro”, conservato presso il Museo Correr di Venezia, altre sue famose opere sono il ritratto quale Venere vincitrice di Paolina Borghese (1805) e il gruppo scultoreo di Amore e Psiche (1787-1793) esposto presso il Louvre.
Il mito
Fonte foto: elicriso.it
L’opera si ispira al mito di Dedalo e Icaro, narrata dal poeta Ovidio nelle “Metamorfosi” (libro VIII). È la storia di un padre e un figlio, rinchiusi dal re Minosse dentro al labirinto che lo stesso Dedalo aveva progettato. L’unico modo per poter fuggire dalla loro prigione era dall’alto e i due costruirono delle ali realizzate con penne d’uccello tenute insieme dalla cera. La leggenda racconta poi che, malgrado le raccomandazioni del padre, Icaro preso dall’entusiasmo del volo , si spinse sempre più in alto avvicinandosi troppo al sole che però, con il suo calore ben presto sciolse la cera causando la rovinosa caduta del giovane e la sua morte.
La scultura
La naturalezza già neoclassica dei due corpi, colti nell’atto di indossare le ali, viene costruita dall’autore su uno schema a X a equilibrare un voluto contrasto tra la figura spensierata del giovane che si protende verso destra, e quella preoccupata dell’anziano genitore, incerto sull’esito dell’impresa, inarcata in avanti a sinistra. Uno schema di non facile realizzazione, considerando anche la giovane età dell’artista.
Secondo alcune ipotesi i due volti sarebbero i ritratti dello stesso Canova, all’epoca ventiduenne, e dell’amato nonno Pasino che fu un provetto scalpellino nonché primo maestro del nipote.
Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.