Fonte foto: Napolike/Wikipedia
Le co-conduttrici scelte per la settantatreesima edizione del Festival di Sanremo sono Chiara Ferragni (prima e ultima serata), Francesca Fagnani (seconda serata), Paola Egonu (terza serata) e Chiara Francini (quarta serata). Ognuna di loro è stata invitata a recitare un monologo durante la serata di riferimento. Vediamo nel dettaglio i testi integrali, il loro significato e le differenze tra le quattro.
Il monologo di Chiara Ferragni
Criticata perché difficile da incasellare, è stata accusata (tra le altre tante cose) di aver fatto un discorso egoriferito, l’ennesimo selfie in cui finge di mostrarsi fragile per spiattellarci in faccia che ce l’ha fatta. Inutile dire che si tratta di commenti opinabili, a tratti troppo feroci, a un’imprenditrice a cui non viene perdonato di essere bella e ricca.
Il testo
«Ciao bimba, ho deciso di scriverti una lettera. Ogni volta che penso a te mi viene da piangere e non so bene neanche il perché, ma forse è perché mi manchi, forse perché vorrei poterti fare uscire fuori un po’ di più, farti vedere quella che oggi è la mia vita. Sai, la gente mi conosce e mi chiede selfie insieme. È una bella sensazione venire apprezzata da milioni di persone, poi sai, non piaccio proprio a tutti, ma piaccio a me stessa e questo è un ottimo inizio. Il tuo futuro? Una premessa: ho sempre cercato di renderti fiera, tutto quello faccio lo faccio per te, per la bambina che sono stata. Ma c’è una cosa che mi fa stare male in qualunque fase della mia vita, che mi accompagna dalla cameretta fino ai red carpet. È un pensiero fisso nella mia testa: non sentirmi abbastanza. Quando ci penso vorrei solo poterti abbracciare forte, perché quando ho pensato qualcosa di negativo su di me lo ho pensato anche di te e tu non lo meriti. Vorrei dirti soprattutto questo, sei abbastanza e lo sei sempre stata. Tutte quelle volte che non ti sei sentita abbastanza bella, intelligente, lo eri e sai, in certi momenti ti sentirai ancora così. Questo è uno di quei momenti, è normale che lo sia. Le sfide più importanti sono sempre con noi stessi. Cominciamo piccola Chiara, parliamo della tua vita. Crescendo avrei tanti momenti di felicità, ma anche alcuni densi di paura e ansia e sai cosa ho imparato? Goditi il vento, vivi quei momenti con tutta te stessa, piangi, arrabbiati, urla se devi, fanno parte del tuo percorso e più che mai dei te. Un amico un giorno mi ha detto: nessuno fa la fila per delle montagne russe piatte. Vivile al massimo, sia quando sono altissime che ti manca il fiato, sia quando sali che la vita ti sembra un traguardo lontano. Sai cosa ho imparato ? Che se una cosa ti fa paura è la cosa più giusta da fare, alcune le sconfiggerai, altre ti faranno compagnia per tanto tempo, ma capirai che va bene così. Abbiamo tutti la scritta fragile, siamo scatole che contengono meraviglia e vanno aperte con cura. Ho due bambini bellissimi adesso, la somma immensa di un sentimento perfetto, ma di Fede non ti dico nulla, non ti voglio togliere la meraviglia dell’amore vero. Diventerai un a madre anche tu e sarai sempre la stessa persona, con gli stessi dubbi e le insicurezze di sempre. Anche i tuoi genitori, che ti sembravano infallibili, hanno la consapevolezza a volte di sbagliare. Sarà semplice fare il genitore? Mai. Sarà il lavoro più duro di tutti e l’unica persona che potrà dare un giudizio finale sono i tuoi figli. Ti sentirai quasi sbagliata ad avere altri sogni al di fuori della famiglia. La nostra società ha dei ruoli definiti: sei solo una mamma. Quante volte la società fa sentire in colpa le donne perché vanno a lavoro stando dietro ai figli? Sempre. Quante volte lo stesso trattamento agli uomini? Mai. Ma se il tuo pensiero va sempre ai figli, stai facendo la cosa giusta. Se farai sempre del tuo meglio per i tuoi figli, togliti il dubbio, forse sei una brava madre, non perfetta, ma brava abbastanza. Un consiglio: celebra sempre i tuoi successi, non sminuirti mai di fronte a nessuno. Noi donne siamo abituate a farci piccole davanti a uomini duri. Se non mostri il tuo corpo sei una suora, se lo mostri troppo sei una t*oia. Essere una donna non è un limite, dillo alle tue amiche e lottate insieme ogni giorno per cambiare le cose. Io ci sto provando, anche in questo momento. Senti come batte il mio cuore? Riconosci queste emozioni? Ti vorrei abbracciare piccola Chiara, per dirti che alla fine andrà tutto bene e che sì, sono fiera di te».
Il significato
Si tratta di una lettera a sé stessa bambina, attraverso cui evidenzia le difficoltà che ogni donna affronta durante il suo percorso di crescita. L’insicurezza, lo spaesamento a causa della gravidanza, il giudizio continuo e costante degli haters, i fidanzati sbagliati.
Il monologo di Francesca Fagnani
“Che belva ti senti?” Chi non ha sentito almeno una volta la domanda che Francesca Fagnani rivolge ai suoi ospiti nel programma Belve? Ormai regina indiscussa della televisione, ha saputo stare sul palco come una vera padrona di casa. Anziché parlare di sé, ha scelto di farsi portavoce dei ragazzi del carcere di Nisida, a Napoli.
Il testo
«Non tutte le parole sono uguali. Alcune devono abbattere i muri per essere sul palco di Sanremo. Parole che provengono dal Carcere minorile di Nisida. Della pena loro non se ne fanno niente. “Siamo qui per i soldi, per fare i brillanti. Catturare l’attenzione. Non ho paura se faccio le cose per rabbia. Vogliamo che la gente sappia che non siamo bestie o killer per sempre. Non ho mai pianto. Ho rivisto mio padre dopo anni e lì ho pianto»
«Perché l’hai fatto? Risposta non c’è. Bisogna andare indietro. Hanno 15 o 18 anni, con lo sguardo perso e occhi che chiedono aiuto ma non si sa a chi. La scuola li ha abbandonati, gli assistenti sociali anche. I genitori non ce l’hanno fatto».
«Gli adulti mi dicono che sarebbero andati a scuola. In quel quartiere solo la scuola ti può salvare. Lo Stato non può esistere solo attraverso le forze di polizia. Lo Stato dovrebbe garantire pari opportunità ai giovani come la democrazia italiana dice».
«Se non riesci a trovare un lavoro torni in carcere. In Italia la prigione serve solo a punire e non a rieducare: tutto il giorno a fare nulla e magari siete in sovrannumero. Un magistrato ha detto che i detenuti non devono passare per vittima e non devono essere picchiati ma perché lo Stato non può essere violento come chi arresta. Chi esce dal carcere deve uscire meglio di come è entrato, per rispetto dell’art. 27 della Costituzione. Che uno spacciatore o un ladro che sia, una volta uscito, cambi mestiere».
Il significato
Si tratta di dialoghi nati da un progetto svolto nel carcere minorile, con cui ha personalmente parlato. Sono testimonianze di vita di chi ha sbagliato ma vorrebbe in qualche modo redimersi. Il testo è un attacco a Gratteri, per aver detto che i detenuti non devono essere picchiati semplicemente per non passare per vittime. Fagnani ha voluto sottolineare la vera funzione della pena carceraria, ovvero la rieducazione e il rientro in società.
Il monologo di Paola Egonu
Se un giorno Paola Egonu si stancherà di fare la pallavolista, potrà di certo dedicarsi alla TV. Da una sportiva non ti aspetti tanta spigliatezza sul palco e proprio per questo stupisce due volte: è brava ed è a suo agio, quasi più di alcuni esperti del settore.
Il suo discorso paga purtroppo le conseguenze della polemica sterile avvenuta in politica. Ancor prima di partecipare, le è stato quasi intimato di non parlare di razzismo in Italia… E allora quale miglior motivo per farlo?
Il testo
«Non sono qui a dare lezioni di vita. Cerco di ricavare un insegnamento da ogni giorno. Spesso in passato sono stata definita ermetica, per questo ho cercato di raccontarmi di più. Questo non ha evitato che alcune frasi venissero estrapolate dal contesto e pubblicate sui giornali per fare rumore. Ogni pensiero quando viene espresso non è più sotto il controllo di chi l’ha pronunciato. Per questo dovremmo risalire all’originale.
Devo tutto ai miei genitori, grazie ai quali ho avuto un’infanzia felice. Mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi guadagnartela. Non sono madre, ma sogno di diventarlo. Nessun genitore è contento se la figlia è costretta a vivere lontano. Vi dico grazie perché per amore mio avete rinunciato a me. Mi mancate, ma so che questa è la mia strada.
Da bambina ero fissata con i perché. Poi da grande mi chiedevo “perché mi sento diversa, perché la vivo come fosse una colpa?”. Ho capito che la mia diversità è la mia unicità. Io sono io. Siamo tutti uguali oltre le apparenze. Lo sport mi ha dato tanto, ma credo che la sconfitta non è solo quando perdi una partita. Il mio obiettivo è avere la palla decisiva da schiacciare. Non sempre ci riesco, e devo ancora imparare ad accettare l’errore.
Sono spesso criticata, è inevitabile. Alcune sono costruttive, ma altre dei veri macigni. Sta a noi dare il giusto peso. Non ho mai smesso di godermi i momenti belli. Sono stata accusata di non avere rispetto del mio Paese, per aver mostrato le mie paure. Amo l’Italia e vesto con orgoglio la maglia azzurra. Ho un grande senso di responsabilità verso questo Paese. Se perdo una finale non vuol dire che sono una perdente. Come a Sanremo, quando Vasco Rossi arrivò penultimo. Anche dalle sconfitte può nascere un percorso, ognuno con il suo viaggi, ognuno diverso».
Il significato
Paola Egonu mette le mani avanti e dichiara subito, con una frecciatina al Ministro Salvini, che non vuole dare lezioni di vita, ma parlare di sé e della sua esperienza. Si toglie un sassolino dalla scarpa anche per quanto riguarda i giornali che, afferma, spesso hanno estrapolato alcune affermazioni dai suoi discorsi e le hanno manipolate a piacimento. Parla dello sport, dell’orgoglio di essere italiana e di rappresentare la sua nazione nell’ambito della pallavolo. Ma parla anche della difficoltà di nascere diversa, di essere criticata, schiacciata dal peso dell’aspettativa come sportiva e come essere umano. Un discorso chiaro e semplice, in linea con il personaggio.
Il monologo di Chiara Francini
Chiara Francini si è distinta fin dalle prime battute: seduta in platea anziché in piedi in cima alla scala, ha subito fatto dell’ironia la sua carta vincente. Battute simpatiche senza pretese, lontane dalla retorica politica e sociale, che non ci avrebbero mai fatto immaginare un monologo così potente e centrato sull’attualità.
Il testo
«Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio.
Ora, io, Chiara, un figlio non ce l’ho, però credo sia una cosa dopo la quale non c’è dubbio non potrai più essere più giovane come lo eri a sedici anni, col motorino, la discoteca e il liceo. E arriva un momento, nella vita, in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga.
Ma… inizia sempre da una che lo sapevi sarebbe diventata mamma prima di tutti. Nel mio caso, la Lucia.
C’è stato un giorno, qualche anno dopo il liceo, che la Lucia mi ha chiesto di vederci. Eravamo sedute al bar della piscina, lei era tutta emozionata e a un certo punto, con una faccia che non le avevo mai visto mi fa: “ODDIOOOOO!!! Finalmente posso dirtelo! Sono incinta!”
Incinta. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare.
Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c’è come qualcosa che ti esplode dentro. Un buco che ti si apre, in mezzo agli organi vitali, una specie di paura, stordimento, e, mentre accade tutto questo, tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta e vuole solo essere festeggiata. E non c’è spazio per il tuo dolore, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare. Come l’albero di Natale che tengo acceso tutto l’anno in salotto, un albero di Natale assolutamente insensato che continua ad accendere le sue lucine, anche a luglio, fuori tempo massimo. Una festa continua senza nessuna natività. E io ho festeggiato.
“Ma Lucia, ma è bellissimo!” … E poi, non sapere più cosa dire. Ed era solo l’inizio, perché di lì a poco mi sembrava che tutti intorno a me avessero avuto, stessero avendo, avrebbero avuto un figlio.
Passeggini, passeggini ovunque.
Un esercito di donne coi capelli corti e uomini stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni di amore.
E io, io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, sempre guadagnandoci di più, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano. E poi. E poi a un certo punto io mi sono accorta che il tempo passava e che se non mi sbrigavo io, forse, un figlio non lo avrei mai avuto. E se anche mi sbrigavo, poi, non era mica detto. Perché anche quando ti decidi che è il momento giusto poi, magari, il corpo ti fa il dito medio e tu, allora, rimani col dubbio di aver sbagliato, di aver aspettato troppo, di essere una fallita.
La parte più difficile di fare un figlio è immaginarlo. Immaginarsi come sarà.
E se non mi sta simpatico? E se poi non condivido niente di quello che fa nella sua vita? E se viene troppo diverso da me? Nel mio caso certo che verrà diverso da me!
Ma come faccio con te, bambino? Ancora non ti conosco, ancora non so nemmeno se nasci, se ci riesco a farti nascere, che già non ci capiamo.
Essere figlio di una madre come me ti causerà solo dei problemi. Se sarai maschio io so e, quasi spero, che sarai gay e t’amerò così tanto. Però forse preferirei non lo fossi, perché sarà più difficile e io vorrei che per te fosse facile.
Per favore vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia, odia ciò che si deve odiare, il male, l’ingiustizia, perché è con quell’odio che si fa tutto. Non è vero che si fa con l’amore. Sì, con l’amore si fanno delle cose, ma il grosso si fa con quell’odio lì. Profondo, viscerale, instancabile. Non essere, ti prego, una di quelle creature indifese, troppo buone. Perché poi dovrei cercare di difenderti tutto il tempo. E c’è il rischio che tu venga su meno capace di guardare, di camminare. Io vorrei fare come mia madre che non mi ha mai preso nel suo lettone. Piangerai nel tuo letto. Spero di avere la forza di lasciarti piangere. Non devo essere debole.
Ma lo vedi come parlo? Sembra che tutto dipenda da me, come se tu non esistessi già da prima di esistere.
Io da qualche parte penso di essere una donna di merda perché non so cucinare, perché non mi sono sposata e perché non ho avuto figli. Razionalmente so che va bene così, ma da qualche parte, dentro di me, c’è questa voce, esiste, e io, alla fine, penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata.
E io già lo so, bambino, tu mi porterai via tutta la creatività, la luce, resterai solo tu al centro della scena e io sarò una semplice comparsa e poi diventerò grande e poi vecchia e non potrò più fare finta che il tempo non stia passando, perché ci sarai sempre tu, lì, a ricordarmi in ogni momento che la mia gioventù è finita. E penso che mi renderai così felice, che poi non potrai mai rendermi davvero così felice, perché è così che funzionano le cose della vita: non sono mai come te le eri aspettate.
E io ti aspetto e ti desidero così tanto che sarai per forza una delusione. Ma come parlo…? Ma che madre sono? Non sono una madre, intanto…
Da dove mi viene tutto questo? Quanto mi è costato diventare come sono? Quanto costerà a te?
E in mezzo a tutto questo bisogno di arrivare, in mezzo a tutta questa rabbia, a questo amore, io, ora, non so dove metterti.
O, forse, sei proprio tu che non vuoi venire da me, perché credi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita.
Ma io volevo solo essere brava, io volevo solo essere preparata, io volevo che tu fossi fiero di me.
Anche se ancora non ci sei.
Forse, perché ci sei sempre stato».
Il significato
Francini parla di maternità mancata, dei sentimenti contrastanti di chi arriva in quell’età in cui tutti attorno a sé sono genitori e stanno per diventarlo, e inevitabilmente iniziano a sentirsi addosso le aspettative del mondo. L’attrice parla al figlio mai avuto e si lancia in ipotesi su educazione e speranze, facendo storcere un po’ il naso ad alcuni che hanno sottolineato come la maternità avanzi poco sul terreno dell’immaginazione e delle ipotesi e combatta molto invece con i compromessi da fare ogni giorno. Il monologo è dolce e spiazzante, pone l’accento sull’impossibilità per molti di diventare madri e padri nonostante la volontà di esserlo.
Le differenze
Il discorso di Chiara Ferragni è stato tacciato di banalità e povertà lessicale. Lei stessa ha ammesso di averlo scritto da sola. Io credo che si tratti di una lettera semplice, sincera, opera di una professionista in altro ambito, che è riuscita però a trasmettere in modo chiaro la necessità di fare pace con le proprie insicurezze per avere successo. Ha parlato soprattutto alle giovani donne, alle ragazzine, che sono il suo bacino d’utenza maggiore. I concetti espressi sono veri e più volte nel corso dei secoli sono stati tirati in ballo da studiosi e intellettuali, ovviamente in altri termini.
Le differenze con il messaggio lanciato da Francesca Fagnani sono notevoli. La prima parla a sé e a chi le gravita intorno, l’altra invece ha scelto di farsi strumento per amplificare le voci dei giovani detenuti e per portare una tematica scottante per la Rai in prima serata.
Paola Egonu torna a spostare i riflettori su sé stessa e utilizza il suo vissuto per parlare di razzismo, valori come sportività davanti alle sconfitte, spirito di collaborazione.
Infine Chiara Francini parla di maternità mancata con passi ironici alternati ad altri intrisi di dolore per una situazione personale, portando il suo monologo forse a un livello di profondità maggiore, se non altro per la schiettezza con cui parla, mettendosi in gioco davvero.
I quattro testi sono diversi tra loro perché le conduttrici per prime lo sono. Hanno scelto di utilizzare lo spazio dedicato a Sanremo per lanciare messaggi diversi, ognuna secondo le proprie inclinazioni e il proprio ruolo. Ciò che hanno in comune è questo: tutti e quattro i monologhi sono perfettamente la rappresentazione di chi li ha recitati.
Giornalista, lettrice professionista, editor. Ho incanalato la mia passione per la scrittura a scuola e da allora non mi sono più fermata. Ho studiato Scrittura e Giornalismo culturale e, periodicamente, partecipo a corsi di tecnica narrativa per tenermi aggiornata.
Abito in Calabria e la posizione invidiabile di Ardore, il mio paese, mi fa iniziare la giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno.