Tele di grandi dimensioni nelle quali le campiture cromatiche orizzontali, a volte in una gamma ristretta di tonalità, si susseguono silenziose, senza nessun soggetto né linea o demarcazione netta; assolutamente astratte nella loro semplicità eppur così profondamente liriche ed evocative tanto da produrre nello spettatore un coinvolgimento emotivo profondo ed evanescente al tempo stesso.
La pittura di Mark Rothko (1903-1970), specialmente la sua ricerca artistica che va dal 1949 al 1970, cioè nel periodo cruciale dei “field paintings” e dell’abbandono definitivo della forma e del segno per privilegiare il tessuto coloristico, è vissuta come estrema sintesi dell’intima espressività dell’artista, sottende a una intenzione poetica “primordiale”, lineare ma intensamente spirituale che vuole avvolgere chi guardi, senza sovrastrutture formali, facendo in modo che siano le sensazioni di ciascuno a essere il volano per incontrare la propria interiorità.
L’artista
fonte foto: la COOLtura
Markus Yakovlevich Rothkowitz , ebreo lettone trapiantato sin dall’infanzia negli Stati Uniti, è oggi considerato uno dei maggiori esponenti di quella corrente d’oltreoceano, sviluppatasi nella seconda metà del secolo scorso, che viene riconosciuta come Espressionismo Astratto. Se già nei suoi primi lavori la parte formale non sia mai stata netta prediligendo macchie di colore che sembrano sorgere dall’interno dei dipinti e che si incontrano senza soluzione di continuità, è con la scelta di addivenire a una semplificazione cromatica che assurgerà a una fama internazionale. Il suo linguaggio andrà via, via sempre più scarnificandosi fino ad arrivare a una pittura monocroma con i “Blackform Paintings”, nei quali un’unica superficie di forma tendenzialmente quadrata fluttua su un fondo dalla tinta unita, fino a quadri nei quali sembra che sia nero dipinto su nero.
L’artista morirà suicida, dopo un periodo di profonda depressione nel 1970.
La Rothko Chapel
Fonte foto: Artribune
Nel 1971, ad un anno dalla scomparsa dell’artista, John e Dominique de Menil inaugurarono a Houston una cappella a forma ottagonale ispirata dallo stesso Rothko, che oltre ad essere un luogo di preghiera aconfessionale, cioè uno spazio spirituale in cui possano riconoscersi tutte le religioni, contiene 14 grandi “dipinti neri” facenti parte dell’ultima produzione dell’artista. È un luogo nel quale si respira la spiritualità che ha mosso la sua ricerca artistica.
Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.