Frankenstein e la Creatura da riscoprire

Frankenstein e la Creatura da riscoprire

Frankenstein nel nome del padre è il secondo graphic novel del nuovo ciclo, incentrato sui grandi classici dell’orrore, che Lo Scarabeo ha ideato e che sta pubblicando per gli appassionati del genere. Dato il tema trattato il periodo dell’anno più propizio per la sua presentazione al grande pubblico è il mese di ottobre, così la cornice perfetta si è rivelata essere il Lucca Comics and Games; proprio come il volume che lo ha preceduto: Dracula, del quale vi ho parlato qui.

La grande creatura

Scritto e sceneggiato da Marco Cannavò e illustrato da Corrado Roi, Frankenstein nel nome del padre ci presenta senza indugio, sin dalle prime tavole, una creatura di dimensioni mastodontiche. La grande struttura fisica della Creatura è qui enfatizzata attraverso l’adattamento delle dimensioni delle vignette alla sua struttura fisica, inoltre quando la sua rabbia esplode una parte del suo corpo esce dalla vignetta, come se Corrado Roi si fosse trovato davanti qualcosa che non aveva alcuna intenzione di essere costretto in una gabbia. O forse, dato che non siamo nuovi al lavoro della coppia Cannavò-Roi, come se gli autori avessero scelto di non costringere più in nuove gabbie una creatura che non ha mai chiesto di essere messa al mondo. Leggendo attentamente il graphic novel questa idea si rafforza tanto che qui la Creatura, che nel romanzo sembra divenire più piccola o in qualche modo più fragile e in fuga, è ancora più grande. La sua dimensione aumenta dal punto di vista della personalità della Creatura e nella sua capacità di elaborare pensieri e idee.

Frankenstein

La narrazione

La dimensione della Creatura che va a spezzare la gabbia dell’impaginazione non è la sola accortezza grafica che va a rafforzare la narrazione. Un’altra semplice ma significativa scelta che è stata attuata in Frankenstein nel nome del padre è quella della spigolosità delle vignette che si arrotondano quando il dottor Frankenstein racconta il passato.
Proprio come in Dracula anche in Frankenstein nel nome del padre la figura femminile qui è più incisiva rispetto al romanzo al punto che se la Creatura, nelle prime tavole, ha la fortuna di vivere in modo decoroso pur dovendo essere celato alla vista del mondo, è proprio grazie a Elizabeth, la promessa sposa del dottore. Elizabeth è colei che lo educa, che insegna alla Creatura a scrivere, leggere, mangiare e soprattutto quali dovrebbero essere il valori da seguire e mettere in atto per condurre una vita retta e dignitosa. Le licenze poetiche che Cannavò si prende dal romanzo rimangono comunque bene aderenti al macrocosmo della narrazione di Mary Shelley e così il medico si trova comunque a dover inseguire per mare la Creatura, qui però i flutti che separano il medico dal suo esperimento vivente regalano alla Creatura un secondo momento di malinconica serenità.

Nuovi spunti

Proprio come per Dracula, pur trattandosi di un classico, la chiave di lettura data da Corrado Roi e Marco Cannavò riesce a sollevare nuovi spunti, cosa tutt’altro che semplice in questo caso. Certo perché come gli appassionati del genere gotico sanno bene, Frankenstein ha visto nel corso della sua vita un sacco di rimaneggiamenti per mano di molti autori diversi al punto che la Newton nel 1996 pubblica una raccolta di racconti dal titolo Tutte le storie di Frankenstein. Ma torniamo a Frankenstein nel nome del padre per vedere uno dei molteplici spunti di riflessione che ha attirato in modo particolare la mia attenzione. Si tratta del tema della paternità. Una paternità che in Frankenstein nel nome del padre dal punto di vista del dottore non si allontana troppo da quella alla quale Mary Shelley prima e tutti gli altri autori a seguire ci hanno abituati, un po’ come se la superbia e l’egocentrismo di Victor anche a distanza di secoli non possano in alcun modo essere perdonati. La parte interessante sull’argomento arriva quando Marco Cannavò e Corrado Roi ci mostrano l’indole paterna della Creatura, in questi momenti è come se gli autori tentassero, da una parte, di donare a Mary Shelley (che nella Creatura innominabile riviveva se stessa) quei figli che non le è stato mai permesso dal fato di poter crescere. Dall’altro un altro modo di essere padre completamente opposto rispetto a quello che la Creature subisce dal suo creatore. Un’altra accortezza si palesa seguendo questo filone di pensiero: quando la Creatura si prende cura di qualcuno sembra quasi che improvvisamente la dimensioni delle vignette si rivelino essere comode anche per un essere dalle dimensioni mastodontiche.

Se volete approfondire le ricerche sul romanzo di Frankenstein vi ricordo l’articolo che scrissi sul romanzo incentrato proprio sulla Creatura e l’autrice in questo articolo.