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Frankenstein, il romanzo dato alle stampe da Mary Shelley nel 1818, è quel romanzo che ha come coprotagonista una creatura senza nome.
Questo è il primo elemento sul quale è importante fermarsi a riflettere.
Che cosa provoca negli esseri umani la creatura?
Tale creatura risveglia tutti i sentimenti di astio e disgusto immaginabili, sin dal primo sguardo. Questo è il motivo per il quale nessuno gli ha mai dato un nome ed è anche il motivo per il quale a rivolgergli la parola sono solo il suo creatore e la voce narrante che racconta la storia, il signor Walton. C’è un altro aspetto che rende coerente questa scelta da parte dell’autrice. La creatura è un personaggio che porta sulle spalle fardelli troppo grandi anche per la sua stazza. Egli è: un figlio deludente, un abominio, un portatore di morte che il fato fa nascere con la voglia e il disperato bisogno di dare e di ricevere amore.
Inizialmente il suo aspetto nasconde un animo che non ha nulla di mostruoso ma a causa dei costanti rifiuti e delle percosse che riceve, questo essere sceglie infine di ricoprire il ruolo che gli è stato dato a forza. La sua intera esistenza è un’esistenza mancata, un tentativo mancato di vita; in pratica è un aborto vivente.
Come nasce la creatura nella mente di Mary Shelley?
L’idea della storia prende forma nel 1816, quando l’autrice deve ancora compiere 19 anni. Allora come può la mente di una così giovane donna partorire una creatura tanto malinconica e piena di disgrazia? Presto detto. Le interruzioni di gravidanza e le morti in culla sono una triste costante nell’esistenza dell’autrice. La stessa nascita di Mary Shelley vede come conseguenza la morte della madre causata da una febbre puerperale. Come se madri e figli non fossero destinati a stare insieme. Questi fatti sembrano essere un lugubre scherzo del destino atto a creare nell’autrice la sensibilità per trattare un tema tanto moderno all’alba XVIII secolo. Il padre dell’autrice, il prestigioso William Godwin, non accetta la bambina non riuscendo ad instaurare mai con lei un rapporto basato su affetto e fiducia. Così, crescendo Mary Shelley sviluppa questo senso di inadeguatezza misto a senso di colpa e a poco serve in questo senso il grande amore fra lei e Percy Shelley.
Inoltre non si sente all’altezza della madre defunta, la famosa scrittrice femminista Mary Wollstonecraft. Pensa di non essere abbastanza per il padre, di non essere valsa la perdita di una mente tanto impegnata come quella materna. A chiudere il cerchio di ciò che porta al concepimento dell’idea del romanzo, c’è l’interesse dell’autrice verso il galvanismo e la fisiognomica. Su questo terreno più che fertile, un incubo viene a fare visita all’autrice ed al suo risveglio: eccole servita, direttamente dal suo inconscio e su un piatto d’argento, la trama per il romanzo.
Chi è Frankenstein e chi è invece Mary?
Il vero protagonista è lui, Victor Frankenstein. Persino il nome di questo giovane ragazzo, impegnato nel superamento della morte, è parte del sogno dell’autrice.
Nell’incubo Victor è impegnato in uno strano lavoro che porta come risultato alla nascita della creatura. Victor è un bambino curioso e assetato di sapere, infatti tutto il suo slancio iniziale è indirizzato alla creazione.
“Erano i segreti del cielo e della terra che desideravo apprendere” […] “sia che mi appassionassi alla sostanza apparente delle cose, o alla segreta essenza della natura, o alla misteriosa anima dell’uomo, in ogni caso le mie ricerche erano rivolte ai segreti metafisici, o nel senso più elevato del termine, ai segreti fisici del mondo”.
Tra il desiderio iniziale e il vedere un uomo che può generare una nuova vita, ci sono nel mezzo gli studi universitari che Victor sceglie grazie a queste parole
“I maestri di oggi promettono molto poco: sanno che i metalli non possono trasmutarsi e che l’elisir di lunga vita è un sogno. Ma questi filosofi, le cui mani sembravano fatte solo per sguazzare nello sporco e i cui occhi per sforzarsi sul microscopio o sul crogiuolo, hanno fatto davvero dei miracoli. Essi penetrano nei recessi della natura e mostrano come funziona nei suoi siti nascosti. Essi ascendono al cielo” […] “possono comandare ai fulmini del cielo, imitare il terremoto e persino prendersi gioco del mondo invisibile e delle sue ombre”.
Victor, che voleva sconfiggere la morte, viene punito creando qualcosa che semina morte ovunque volge lo sguardo. Anche quando ama la creatura, infine, uccide. Per tutto il romanzo l’autrice è identificabile tanto con la creatura quanto con Victor in quanto figlia e madre.
Il rapporto padre – figlia
Si tratta dunque di un romanzo dove la dualità di una donna si guarda allo specchio per analizzarsi? Sì, ma non solo. La nostra autrice mette sul piatto tanti temi: l’incapacità di accettazione verso chi viene percepito come diverso, il pericolo nel quale può farci cadere un’egemonia scientifica, l’invidia dell’uomo della possibilità della donna di procreare.
Infine, quando nella creatura riconosciamo Mary Shelley, in Victor c’è il padre dell’autrice. Questo lo si evince chiaramente da tre fattori: la dedica del romanzo che dice come l’autrice Mary Shelley dedichi il romanzo a William Godwin, dal dal fatto che la creatura uccide proprio un parente di nome William (nome non solo del padre della scrittrice, ma che portava anche uno dei suoi figli di conseguenza) che muore in tenera età. E, infine, da ciò che la creatura dice rivolgendosi al proprio creatore:
“Io sono la tua creatura, e sarò mite e dolce verso il mio naturale signore e padrone, se anche tu farai la tua parte, di cui mi sei debitore. Oh Frankestein, non essere giusto con ogni altro per disprezzare me solo, a cui devi non solo maggiore giustizia, ma anche più clemenza e affetto. Ricorda che io sono la tua creazione, io dovrei essere il tuo Adamo, e sono invece l’angelo caduto, che tu scacci dalla gioia senza alcun misfatto”.
Queste sono solo alcune delle tematiche che si possono affrontare in questo romanzo che se non avete ancora letto, vi consiglio vivamente di leggere.
Lavoro come grafica-creativa, illustratrice e content editor freelance.
Sono diplomata in grafica pubblicitaria e parallelamente ho studiato disegno e copia dal vero con Loredana Romeo.
Dopo il diploma ho frequentato beni culturali presso l’università di lettere e filosofia e parallelamente seguivo un corso di formatura artistica, restauro scultoreo e creazione ortesi per il trucco di scena.
A seguire l’Accademia Albertina di Belle Arti con indirizzo in grafica d’arte (che mi ha permesso di approfondire: disegno, illustrazione, incisione, fumetto).
Sono sempre stata interessata e assorbita dal mondo dell’arte in tutte le sue forme e dopo la prima personale nel 1999-2000 non ho mai smesso di interessarmi alle realtà che mi circondavano.
Nel 2007 ero co-fondatrice e presidente dell’Associazione Arte e Cultura Culturale Metamorfosi di Torino e in seguito ho continuato e continuo a collaborare con vari artisti e ad esporre.
L’amore per l’arte in tutte le sue forme, il portare avanti le credenze e le tradizioni familiari hanno fuso insieme nella mia mente in modo indissolubile: filosofia, letteratura, esoterismo, immagine e musica.