God Save the Queen compie 46 anni

God Save the Queen, il brano emblema del punk inglese uscì proprio il 27 maggio del 1977, anno in cui stava avvenendo il Giubileo d’argento della regina Elisabetta. Il manager che inventò i Sex Pistols e il punk, Malcom Mclaren, proprio lui consigliò al gruppo di cambiare titolo a quel brano che originariamente si chiamava No future, proponendo di sostituirlo con God Save the Queen.

Un inno punk

Si trattava di una celebrazione diffusa lungo tutto l’anno del 25esimo anniversario dell’ascesa della sovrana.  In particolare in quel giorno si inaugurava il British genius exibitions al parco di Battersea. Proprio in un evento così celebrativo dell’intelligenza inglese devota alla monarchia, arriva God Save the Queen dei Sex Pistols, che rimarca il titolo dell’inno alla regina, portando l’attentato beffardo tramite un brano che diventerà presto un simbolo per tutto il mondo.

 

Mentre l’inno alla regina aveva un testo che le augurava la pace e sonni beati, i Sex Pistols esordiscono dandole della deficiente, sostenendo che sia stato il regime fascista a renderla tale, paragonandola a una bomba H. Ma poi ascoltando il testo vanno ancora più a fondo e tirano fuori la frase And England’s dreaming associata a quella ancora più celebre che dice No future for you.

Già, quale futuro? Johnny rotten lo gridava con rabbia: in your human machine / we are the future. Proprio loro, quei ragazzi pieni di disagio, così insicuri sulla propria vita, persi, senza valori, drogati, autodistruttivi, suicidi, proprio loro sono il futuro della regina. Il mondo che lei ha creato è quello. La verità di quella gioventù carica di sofferenza e rabbia, cresciuta nella miseria e nell’odio. Quel presente che era governato dal laburista Callaghan e che sarebbe andato verso un futuro in cui successore sarebbe diventata Margareth Thatcher. In effetti i ragazzi ci stavano vedendo lungo.

Ma c’è da dire che il significato più immediato, ovvero quello rivolto a qualsiasi ascoltatore che si identifichi con quella canzone, è stato confermato dagli stessi componenti della band. Perché mentre il brano diventava singolo dell’anno secondo la rivista Sounds l’evento immediatamente futuro fu il suicidio per overdose di Sid Vicious. Evento che segnò come una lacerazione, l’ennesima vittima del rock and roll. Proprio quella che in quegli anni stavano raccontando, la Rock and roll swindle, la truffa, quella imbastita dall’imprenditore di turno, finalizzata al lucro. Dove anche l’anarchia era un trend, e i suoi miti erano carne da macello.

Il punk, così vero perché così tragico. In quel perverso gioco della protesta inerme, autosabotante. In quell’epoca in cui iniziava a dilagare un isolamento, lentamente, quello che forse diventerà visibile solo con l’ampiezza della Storia. L’estetica che ne veniva fuori era pura, devastante, proprio perché il reale è ancor più crudele della rabbia. Fortuna volle che Johnny fosse un ragazzo davvero in gamba e intelligente e riuscì a portare avanti la sua carriera con i Public Image Limited rimanendo sempre sé stesso, il genio sottoproletario capace di ribaltare un intero regno prima, un intero continente poi, e l’intero mondo subito dopo.