Immagini concesse dall’organizzazione della mostra
Scrivere di Renato Casaro è un pò come rivivere per flash la storia del cinema mondiale degli ultimi 70 anni. Nato a Treviso nel 1935, inizia l’attività lavorando per le sale della località veneta. Qui si dedica a grandi sagome, pezzi unici dipinti a mano collocati all’esterno del Garibaldi e dell’Esperia.
Non ancora ventenne si trasferisce a Roma, nello studio di Augusto Favalli, e dopo poco, sempre nella Capitale, decide di aprire – siamo nel 1957 – un atelier tutto suo. La mostra che la città d’origine gli dedicherà dal prossimo 28 marzo e fino al 30 settembre (se la pandemia non costringerà al rinvio), sarà allestita su tre sedi: la Chiesa di Santa Margherita, il Complesso di San Gaetano, i Musei Civici di Santa Caterina.
Oltre trecento i pezzi esposti, un centinaio dei quali restaurati per l’occasione. In molti casi si tratta di bozzetti e degli originali, ovvero l’opera finita, da cui stampare il materiale definitivo. Reperti ricchi di storia e provenienti dall’archivio personale e da importanti collezioni pubbliche e private.
Nell’allestimento a Santa Margherita troverà spazio una sezione didattica all’interno della quale il pubblico più giovane potrà, in assoluta autonomia, comporre e dare vita ad un manifesto di cinema. E, ancora, un’area dedicata agli ipovedenti con la riproduzione in 3D della celebre affissione de “Il tè nel deserto”.
Dal western all’italiana, “Lo chiamavano Trinità”, ai successi planetari del tipo “Amadeus”, “Il nome della rosa”, “L’ultimo imperatore”, “Rambo”, “Balla coi lupi”, Casaro si è imposto all’attenzione delle maggiori realtà di produzione e della critica internazionale per il sensibile “verismo” delle immagini. Così ricche di particolari, sfumature e colori da avvicinarsi a veri e propri scatti fotografici.
Scorrendo l’elenco dei Maestri con i quali Casaro ha collaborato, è sorprendente scoprire come una miriade di autorevoli firme si siano affidate all’estro e all’impattante tecnica dell’artista trevigiano. Vale la pena citarne alcuni: Marco Bellocchio, Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Mario Monicelli, Pietro Germi, Francesco Rosi, Alberto Sordi, Giuseppe Tornatore, Carlo Vanzina e Carlo Verdone solo per rimanere nell’ambito della regia nostrana.
La mostra dal titolo “Renato Casaro. L’ultimo cartellonista del cinema. Treviso, Roma, Hollywood” è stata concepita tramite una rigorosa sequenza cronologica e una suggestiva scansione tematica, così da permettere al visitatore di comprendere meglio i passaggi della crescita professionale e della cifra stilistica che Casaro interpreta e sviluppa nel corso dei decenni.
Le ultime fatiche risalgono al 1999. L’anno successivo, infatti, Casaro si dedicherà al prestigioso calendario dell’Arma dei Carabinieri. Dal 2014 il pittore-cartellonista italiano è tornato a vivere a Treviso, nella casa di famiglia, assieme alla moglie. Nel 2019, si legge nella biografia, l’imprevedibile Quentin Tarantino lo ha voluto a collaborare nel progetto dei poster vintage creati per la pellicola “C’era una volta a Hollywood”.