Lo scrittore polacco Ryszard Kapuściński una volta ha detto che il virus del viaggio è una malattia sostanzialmente incurabile, un morbo difficile da estirpare dal proprio corpo e dalla propria mente. Ed è stato proprio questo virus a spingere Stefano Russo – architetto, editore e scrittore romano – non solo a misurarsi con il nastro dei ricordi, ma anche a dare loro una nuova scintilla e una nuova collocazione, mettendoli nero su bianco nella sua ultima fatica letteraria: “Bussola a sud-est. Storie da un viaggiatore“.
Fonte foto: pagineinprogress.it
La caratteristica principale del romanzo, edito dalla casa editrice Pagineinprogress, risiede nel fatto che si tratta di una miscellanea di temi e di generi: c’è ovviamente il viaggio, tòpos principale dell’opera, documentato da foto di repertorio scattate nel corso degli anni dall’autore stesso; c’è l’aspetto autobiografico, che si snoda fin dai primissimi capitoli e rende l’opera un vero e proprio romanzo di formazione; infine, fra le pagine emergono chiaramente anche le conoscenze professionali dell’autore e la sua predisposizione alla scrittura di guide, cui ha dedicato la sua intera vita e tutto il suo lavoro.
Insomma, ci sono davvero tantissime cose da dire su questo romanzo, ma lasciamo che sia l’autore stesso a raccontarcele e a mostrarcele attraverso i suoi occhi. Quanto segue è il frutto dell’intervista che Stefano Russo ci ha rilasciato.
L’intervista
Puoi raccontarci la genesi del tuo romanzo?
“Viaggiare per me non è una abitudine, ma un’esigenza, che mi porta a dire a mia moglie, con cui abito nell’immediata periferia della capitale, ‘Dai, oggi ce ne andiamo a Roma’, come prima della partenza per un lungo viaggio, con la stessa eccitazione con cui le dico ‘Prepariamo le valige…si parte!’.
Cambiano le distanze, ma l’entusiasmo di mettere in movimento gambe, pensieri e idee è pressappoco lo stesso; così come la curiosità per luoghi, storie e contatti umani che fanno parte di ogni méta, vicina o lontana che sia. C’è poi la necessità di riordinare le esperienze e la necessità di condividerle; di coinvolgere i lettori, gli appassionati viaggiatori e quelli che aspirano a esserlo. Ecco perché, causa pandemia, impossibilitato perfino a bighellonare per il quartiere, mi sono sentito perso, afflitto. Per salvare il mio equilibrio interiore, mi sono rimesso in viaggio, sebbene con la fantasia, e sono andato a bussare ai ricordi: parte dei viaggi intrapresi, sin dalla giovinezza, fino a quelli più recenti. Nasce così il libro: una narrativa di viaggi e di esperienze vissute.”
Nella nota dell’autore dichiari di aver pensato a lungo a come approcciare alla stesura di questo libro. Qual è stata la scintilla che ti ha portato a voler mettere nero su bianco i tuoi ricordi e alcuni episodi della tua vita?
“Sì, ci ho pensato su un bel po’. Non miravo a un testo autobiografico e volevo lasciare al lettore di intuirlo lungo lo svolgimento della lettura. Io sono solo il pretesto per raccontare tante storie, gioiose o drammatiche, la cui somma è il percorso della vita stessa, e i protagonisti, a pari livello, sono le persone, i luoghi e le storie che si avvicendano. ‘Sono i comuni mortali a fare la storia’, ribadisco nel testo, con convinzione. E aggiungo che non ci dovrebbe essere bisogno di effetti speciali nel raccontare le cose terrene già affascinanti e stupefacenti, poiché, nel bene o nel male, sono quelle vissute realmente e non bisognerebbe mai darle per scontate. Le persone sensibili sanno stupirsi anche per le piccole cose. Non è una dote, né un passaggio scontato; occorre lavorare su se stessi, sforbiciando parecchio per affinare il proprio intelletto. Molte invece le persone che hanno bisogno di partecipare alla vita attraverso un cannocchiale, un modo di concepire l’esistenza da lontano, indolore, dove la realtà è edulcorata e la fantascienza e il paradossale aiutano in tal senso. Essenzialmente, è ciò che differenzia la narrativa di fantasia dalla narrativa di viaggio, in cui la contestualizzazione del reale, del vissuto, dovrebbe spingere il lettore ad accostarsi al racconto con maggiore interesse e partecipazione.”
“Bussola a sud-est. Storie da un viaggiatore” è stato il tuo primo approccio alla narrativa nei panni di autore, dal momento che ti sei sempre occupato di guide turistiche/culturali. Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate, se ce ne sono state?
“Scrivere guide ha la sua complessità, superate però da anni di esperienza. Oggi, tra le guide in commercio, posso dire che quelle di pagineinprogress siano tra le più apprezzate. Sono scritte in prima persona, dopo aver visitato i luoghi con grande passione. Per la guida “Benvenuti in Iran” ho attraversato l’intero Paese in lungo e largo più di una dozzina di volte, realizzando centinaia di scatti fotografici e instaurando rapporti amichevoli con un gran numero di persone. Il lettore intuisce lo sforzo e apprezza il risultato del lavoro. Per la stesura del libro Bussola a Sud-est. Storie da un viaggiatore mi sono sentito emotivamente più coinvolto. E non è sempre stato facile essere al di sopra delle parti. Ma forse, se a qualcuno il racconto piace, è proprio per questo!”
Per la copertina hai scelto un’opera di Monet del 1875, “Il treno nella neve. La locomotiva”. Cosa rappresenta per te questo dipinto e come lo associ al tuo romanzo?
“I quadri di Monet esprimono per la maggior parte silenzio e quiete. In questo, la neve ovatta ogni rumore. Solo lo sbuffo della locomotiva a vapore e lo sbattere delle porte sembra scandire il tempo, di chi sale, scende o aspetta.
Il treno ha rappresentato molto per me; mi ci sento a casa! Mi sembrava anche per questo la migliore copertina possibile.”
Fonte foto: artribune.com
Il tuo romanzo è pieno di foto di repertorio che hai scattato di persona, dal momento che la macchina fotografica è sempre stata una tua fedele compagna di viaggio. Ci puoi dire qual è, fra quelle che hai inserito, quella di cui vai particolarmente fiero e perché?
“Per le guide culturali, testi e fotografie vanno inseparabilmente di pari passo. Anche un libro di narrativa di viaggio credo che non possa esimersi dall’includere immagini che, spesso, valgono più di tante parole. La foto a cui sono più affezionato riguarda l’amico Claudio. C’è la sua bella figura, ma di fronte mi ci vedo anch’io, specularmente, che l’immortalo su un vecchio treno nei primi anni ’70. Rappresenta la giovinezza con la voglia dirompente di vivere, di indipendenza, di conoscere e confrontarsi. Il desiderio di aprirsi a un mondo più grande di noi. Rappresenta l’animo buono e gentile dell’amico, che lo ha accompagnato per tutto il cammino della sua vita.
Ma anche quella dell’incontro a Potsdam con Mikhail Gorbaciov mi emoziona. Eravamo nel periodo della guerra fredda ed entrambi in un Paese straniero. Sebbene sia stato un incontro fugace, ho percepito anche lui come un amico. Un padre affettuoso che, attraverso lo sguardo, comunica molte cose che l’interlocutore deve saper cogliere al volo. Quindi ogni fotogramma è un’istantanea della vita, un attimo fugace dietro al quale ci sono storie infinite.
E che dire della fotografia della bambina indiana scattata a Delhi. In un attimo di immensa felicità s’è messa in posa. Mostra gli orecchini con lo sguardo profondo e vanitoso. Ma dopo… quanti pensieri mi sono venuti alla mente: quale sorte le riserverà il futuro? Ce la farà ad uscire dallo stato di indigenza costretta dalla casta a cui appartiene? Che donna sarà da grande? La rivedrò mai più?
Ma mi chiedi di scegliere e non ti nascondo che la fotografia de “L’uomo del treno” mi è molto cara. Una persona così non capita tutti i giorni di incontrarla: che rinuncia al vestiario per riempire la sua borsa solo di libri, spartiti musicali e una guida di Firenze. Non posso dimenticare i suoi occhi diamantini, la sua pace interiore, il desiderio di conoscenza di un vero viaggiatore. Ora, a distanza di tempo, è come se le note che suonava sulla tastiera virtuale della sua mente prendessero corpo…le sento. Avrei voluto sapere molto più di lui. Forse sono proprio le storie incomplete e irrisolte, quelle che lasciano mille risvolti e mille domande, quelle maggiormente accattivanti. Sono sicuramente quelle che a me piacciono di più.”
Foto di Stefano Russo
Se potessi ripetere ora uno dei viaggi che hai narrato nel tuo romanzo, quale sarebbe e perché?
“Così come l’assassino torna sempre sul luogo del delitto, anch’io mi reco nuovamente nei luoghi visitati. Non posso farne a meno. Questo spesso invalida la conoscenza di altri Paesi. Ma è una esigenza vitale. Viaggiare è anche il modo migliore per creare e coltivare amicizie e il ritorno è sempre la parte più bella, perché sai che qualcuno ti sta aspettando, che puoi andare a trovarlo. Ho in programma di tornare ancora in Iran, l’ennesima volta. Ma ho validi motivi per tornare ancora in Uzbekistan. Ho bisogno di reperire nuovo materiale. Sono trascorsi già quattro anni dalla prima edizione ed è giunto il momento di aggiornare la guida culturale di questo interessante Paese. Poi, anche lì ho qualche amico da incontrare; quattro piacevoli chiacchiere da scambiare in una yurta, mentre beviamo il solito tè al limitare del deserto rosso del Kizilkum.”
Da bambina leggevo i fumetti di Dylan Dog, poi – senza nemmeno accorgermene – sono entrata nel vortice dei grandi classici e non ne sono più uscita. Leggo in continuazione, in qualsiasi momento, e se non leggo scrivo. Scrivo per riempire gli spazi bianchi e vuoti della mente, ma anche perché è l’unica cosa che mi fa sentire viva. Cosa voglio diventare da grande? Facile: una giornalista.