Fonte foto: Elisa Nanini
Erbe aromatiche: versi di fili, riti e piccole abitudini
Le erbe aromatiche, da sempre molto apprezzate per i loro svariati utilizzi e proprietà, sono protagoniste di tradizioni, commerci, cure e ricette.
Il loro caratteristico profumo viene spesso associato alla magia, alla continuità e al dialogo con l’ultraterreno. In particolare, nell’antico Egitto le erbe aromatiche assurgono a ‘messaggere delle divinità’: adoperate per conservare il corpo dei defunti, fungono da tramite, mettendo in comunicazione uomini e dei attraverso la loro intensa fragranza.
Ma, in aggiunta alle numerose e importanti testimonianze di credenze, culti e scambi, una componente interiore, domestica e affettiva costruisce e consolida, mediante ricordi e nuovi affacci, un rapporto personale tra piante inebrianti e vita.
Immagine vegetale di durata e persistenza, di riti e piccole abitudini, le erbe aromatiche trovano dentro i versi un forte legame con la metafora del filo.
Tra ramificazioni e tessiture, il loro fascino misterioso, capace di spaziare dalle pratiche collettive a una quotidianità di gesti minuti, avvolge e stimola la poesia nella sua totalità sensoriale, cercando di perpetuare e rimarginare.
La cucitrice di Pascoli: “tra un basilico e una menta” il filo della vita
La poesia La cucitrice di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 1855 – Bologna, 1912), contenuta nella raccolta Myricae, incornicia “tra un basilico e una menta” un momento di lavoro, la sorella Maria “che cuce e cuce”:
“L’alba per la valle nera
sparpagliò le greggi bianche:
tornano ora nella sera
e s’arrampicano stanche:
una stella le conduce.
Torna via dalla maestra
la covata, e passa lenta:
c’è del biondo alla finestra
tra un basilico e una menta:
è Maria che cuce e cuce.
Per chi cuci e per che cosa?
un lenzuolo? un bianco velo?
Tutto il cielo è color rosa,
rosa e oro, e tutto il cielo
sulla testa le riluce.
Alza gli occhi dal lavoro:
una lagrima? un sorriso?
Sotto il cielo rosa e oro,
chini gli occhi, chino il viso,
ella cuce, cuce, cuce.”
Il basilico e la menta possiedono un retroterra di significati intimamente connessi alla poetica pascoliana, “linguaggio dell’amore e della morte, della solitudine e dell’attesa” teso a “rientrare in un’unità rotta dal destino e da esso ricucita dopo lungo naufragare” (cfr. Sergio Scartozzi, L’unione impossibile. Tessiture della melancolia pascoliana, in Ticontre. Teoria Testo Traduzione, numero 10 – novembre 2018): il basilico è legato all’aldilà, alla morte e all’eros, la menta alla memoria.
Lungo la scia del diradarsi delle stelle, le erbe aromatiche e l’atto del cucire, familiari e insieme simbolici, creano un cortocircuito tra uomo e natura, alba e tramonto, interno ed esterno, inizio e fine. Da una “finestra” affacciata su una tavolozza di contrasti cromatici (nero, bianco, “rosa e oro”), il capo “chino” e “biondo” di Maria stringe senza sosta il filo della vita, la domanda di un “lenzuolo” o un “velo bianco”, di una “lagrima” o un “sorriso”.
L’epopea del timo della Palestina di Tahar Bekri
La persistenza degli aromi riecheggia e tesse attraverso la parola poetica, rapportandosi con pieni e vuoti.
Uno struggente bisogno di continuità sempreverde di fronte alla violenza e alla perdita anima L’epopea del timo della Palestina del poeta e critico letterario tunisino Tahar Bekri.
Il componimento, scritto in lingua francese e datato 27 gennaio 2009, è dedicato alla memoria del poeta palestinese Mahmoud Darwish e alla sua terra. Di seguito, i versi finali tratti dalla traduzione di Giancarlo Cavallo (il testo integrale è reperibile in rete su Potlatch):
“…E l’inverno coperto dai pianti delle sirene
Le case come tombe senza sepolture
Fra le grida scure fra le macerie
Consolavo le stelle svegliate di soprassalto
Sconvolte dalle scie delle vostre polveri
Le mie foglie tenere martiri dei vostri incendiari
Ve lo dico il timo è per profumare
Il pane all’olio d’oliva dei miei fuochi
Non per accendere i bracieri
Né il rosmarino compagno dei miei cipressi
Né l’acqua deviata dalla sua fonte
Perdoneranno alla vostra memoria i suoi vuoti
Ve lo dico il timo è per i cammini
Augusti e fieri non per gli avvoltoi
Il timo è per il riposo degli uccelli
Liberati dalla paura e dalla disperazione
Non per affamare gli alberi ed i nidi
Non per punire le madri e le loro culle
Vi sfido iene e voi caschi
Il timo anche circondato dal Muro
Sfonderà il mare il cielo e la terra
Tanti eserciti per un’erba
Non potranno impedire che i miei aromi
Siano donati agli umani a braccia aperte”
Simbolo di coraggio e vitalità, controcorrente il timo conserva il sapore del fuoco domestico, in netta opposizione con “i bracieri” della devastazione.
Aromi pulsanti e sconfinati mostrano un cammino diverso e salvifico, un dono “agli umani a braccia aperte” capace di sfondare “il mare il cielo e la terra”.
Attraverso i “capelli” del “rosmarino” e delle “donne” la “rivoluzione”: Antonella Kubler
Alla riscoperta della forza assertiva della natura, la poesia Rosmarino dell’autrice modenese Antonella Kubler, tratta dalla raccolta Preferisco dire sì. Come al vento le corolle (Incontri Editrice 2022), cesella in cinque versi uno scambio profondo tra dimensione vegetale e umana:
“Ho visto un rosmarino scarmigliato
mi ha parlato di donne
della rivoluzione
che si può fare
con i capelli”
Come ha sottolineato Alberto Bertoni nella nota critica, i “capelli” appartengono alla “metafora del filo e del filare” che percorre tutto il libro di Kubler in una tensione al trascendente e all’intreccio. In questo breve componimento la chioma botanica di un rosmarino (propriamente ‘rugiada di mare’) porta un messaggio trasversale, si fa voce gentile di vissuto e rinascita.
Con la vivida essenzialità di parole che sfiorano i passaggi del vento, l’immagine di “un rosmarino scarmigliato” diviene così, per chi vede e ascolta, un racconto di “donne” e “rivoluzione”, rivendicando una possibile libertà di affermazione persino attraverso i “capelli”: fili di scelte e svolte o, semplicemente, di esistenza.
Laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna, collaboro con il Poesia Festival e sono redattrice di «Hermes Magazine» e di «Laboratori Poesia». I miei versi sono stati selezionati nello spazio La bottega di Poesia de «La Repubblica» (Bologna, maggio 2019), nell’Almanacco «Secolo Donna 2022» (Macabor Editore 2022), in vari concorsi poetici e per riviste on line. Nel 2020 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, Cosa resta dei vetri (Corsiero Editore), e nel 2023 ho curato l’antologia Il grido della Terra (Macabor Editore).