“L’alterazione dei colori” intervista all’autrice Elsa Hysteria

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“Le persone hanno addosso tutto lo spettro possibile dei colori.

Sono rosse, gialle, verdi, azzurre, viola, rosa, nere e bianche.”

 

Elsa Hysteria è un’autrice emergente che riesce a raccontare il lungo e complicato viaggio nei sentieri della vita attraverso le emozioni, lasciandosi spesso ispirare dalla musica, dall’arte, e come nell’estratto di cui sopra, stavolta dai colori. Elsa ha da poco pubblicato il suo secondo libro “L’alterazione dei colori” edito dalla Tryskell edizioni, e ho avuto la possibilità di conversare con lei sulla sua nuova opera, e in generale, il suo percorso da scrittrice.

 

“L’alterazione dei colori” è la tua seconda opera pubblicata; dove ci porta questa nuova storia?

 

Ci porta a Swanster, una cittadina fittizia che ho collocato nei pressi di Manchester, e seguirà la storia di Amy – una ragazza che nel suo presente tenta di dare un senso a tutto il proprio passato.

 

Il libro si apre con questa frase: “A chiunque si sia sentito Blu, anche solo per un attimo.”. Cosa significa essere “Blu”?

 

Nel mondo aglosassone “to feel blue” significa semplicemente non sentirsi bene a livello emotivo. Può essere una semplice tristezza passeggera come una vera e propria depressione, è lo stato d’animo del non stare bene, ma non a livello fisico.

 

I colori come riescono a definire o a cambiare la percezione della vita?

 

Sembra banale, ma a volte mettersi un maglione di un giallo sgargiante piuttosto che nero è ciò che basta a risollevare un umore ballerino. Oppure cucinare una pietanza piena di colori. Io li ritengo importanti. C’è anche la cromaterapia che è usata da alcuni medici. Poi ovviamente siamo tutti diversi, quindi quello che funziona per una persona non necessariamente deve funzionare per tutti.

 

Le scelte grafiche sulle copertine dei tuoi libri hanno una forte sensibilità artistica. In “Alice”, il grigio dello sfondo è interrotto dai girasoli che omaggiano l’arte di Van Gogh. Ne “L’alterazione dei colori” la scelta guarda ad istallazioni artistiche moderne; un pontile aperto sul mare in cui germogliano dei fiori rossi, che si riuniscono in una forma piramidale sullo sfondo, a sottolineare un crescendo di emozioni nella storia. Come descriveresti questo tuo legame con l’arte?

 

Per me nulla descrive la vita meglio dell’arte. Ogni volta che ho occasione di visitare qualche galleria o esposizione passo letteralmente ore a fissare i quadri cercando di coglierne le storie che ci stanno dietro, le emozioni che li hanno ispirati. C’è così tanta espressività nell’arte, così tanto da cogliere e da imparare.

 

Nelle tue storie, c’è un tema ricorrente e delicato come la “morte”. Come lo si affronta da scrittrice, e cosa cambia quando lo affronti da lettrice?

 

Da scrittrice lo si affronta molto male, nel senso che l’unica maniera che conosco per scrivere scene che abbiano realmente senso, è immergermi in esse come se le stessi vivendo io. Quindi si può dire senza esagerare che ho provato sulla mia pelle qualunque cosa abbiano provato i miei personaggi. È un concetto di cui molti autori parlano spesso, il peso emotivo dell’atto di scrivere, e che puoi capire veramente solo se, per l’appunto, scrivi. Da lettrice mi pesa meno, perché per quanto male possano fare certe storie, nel momento in cui leggi sai che non sono le “tue” storie ma quelle di qualcun altro. Sai che non sta succedendo a te. Quindi assimili la tristezza e il dolore in maniera completamente differente rispetto a quando sei tu a crearlo.

 

In “Alice”, ogni capitolo aveva il titolo di una canzone. La musica è in grado di guidare le nostre storie, anche nel quotidiano?

 

Sì, almeno per quel che mi riguarda. Ho sempre vissuto con gli auricolari nelle orecchie fin da quando ero piccola, quindi ho una canzone precisa associata praticamente a tutto, che siano momenti particolari o persone. Ognuno ovviamente vive la musica in maniera diversa, a me piace immergermi nei testi e lasciare che parlino per me.

 

Com’è stato il passaggio dal self-pubblishing alla collaborazione con una casa editrice importante come la Triskell Edizioni?

 

Bellissimo e stranissimo allo stesso tempo. Quando sei in self, sostanzialmente fai tutto da sola e hai il controllo assoluto su tutto. Non devi scendere a compromessi, non devi sottostare a decisioni altrui, sei tu con il tuo romanzo e ne fai ciò che vuoi. In più i tempi di una casa editrice sono estremamente dilatati rispetto a quelli del self, perché ci sono calendari editoriali precisi da rispettare. Io posso dire di essere stata molto fortunata perché in realtà mi è stata lasciata ampia possibilità di parola sulla copertina – che è esattamente come l’avrei voluta – e mi sono interfacciata con un editor meraviglioso che ha saputo rispettare tantissimo la mia storia e i miei personaggi. Purtroppo so che non tutte le case editrici lavorano in questa maniera, ma fortunatamente io posso valutare in maniera decisamente positiva la mia esperienza.

 

Come scrivi nella biografia, “nasci in un freddo giorno d’inverno in provincia di Bergamo”. Nei mesi scorsi è stata la città italiana più colpita dal dramma del Covid-19. Come hai vissuto quei giorni, e cosa ti hanno lasciato?

 

È stato orribile nonostante io sia stata davvero fortunata. In famiglia e fra gli amici ci sono stati casi di Covid ma molti leggeri, mentre conosco persone – tante – che hanno perso genitori, zii, nonni, amici. Qui la colonna sonora delle giornate erano le sirene delle ambulanze e le campane che suonavano a morto, unici suoni a rompere un silenzio irreale che si è protratto per settimane. Tutt’oggi si respira un’aria stranissima, fra chi si comporta come se non fosse mai accaduto nulla e chi invece lo ricorda fin troppo bene.

 

Sui social hai raccontato spesso i tuoi viaggi nel nord Europa attraverso immagini e pensieri. Cosa ti affascina di quei luoghi?

 

Innanzitutto la cultura, estremamente diversa da quella mediterranea ma molto più vicina a me rispetto a quella in cui sono cresciuta. Mi ritrovo nei loro comportamenti, nei loro modi di ragionare, nei loro modi di vivere. E poi il freddo. Amo il clima freddo, non importa quanto, la sensazione di gelo sulla pelle è una delle migliori che si possa provare andando in giro. Mi fa sentire a mio agio, mi mette di buon umore. Con il caldo mi spengo, e non intendo necessariamente quaranta gradi all’ombra, anche venti per me sono troppi. Parlando di viaggi, l’unico luogo caldo che finora mi è riuscito a rimanermi nel cuore, è stato il Portogallo.

 

Quando si potrà, quale sarà la tua prossima meta?

 

Il 2020 era l’anno in cui mi ero ripromessa di barrare la casellina “Islanda”, ma non è andata esattamente secondo i piani. Rimane comunque in cima alla mia lista.

 

Hai dei progetti letterati per il futuro?

 

Ho da poco terminato di scrivere il mio terzo romanzo, ma al momento lo sto tenendo qui in attesa di capire cosa farne di lui. È un po’ particolare, così pieno di dialoghi da farlo sembrare quasi una sceneggiatura più che un romanzo, non credo di aver mai scritto così tanti dialoghi all’interno di una storia. Ho iniziato anche a scrivere il quarto, nel quale a differenza di tutto il resto che ho scritto, ho deciso di dare uno sfondo storico ben preciso quindi mi sto muovendo un po’ coi piedi di piombo. Vedremo!

 

Ringrazio Elsa per questa intervista ad Hermes Magazine. Buona fortuna e ancora complimenti!

 

 

Il libro “L’alterazione dei colori” è già disponibile nelle librerie e negli store digitali.


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