Perché la letteratura inglese sembra avere più successo di quella italiana?

Sovente ci si trova davanti al dibattito su cosa sia meglio tra produzioni artistiche in lingua inglese e quelle italiane. Serie tv, film e anche libri sembrano sempre funzionare meglio se la terra natìa delle stesse parla inglese. È vero questo assunto? Ma soprattutto, ne siamo proprio sicuri?

Un primo grande vantaggio è dato sicuramente dai parlanti inglesi contro quelli italiani: 900 milioni versus 61 (tra madrelingua e parlanti nel mondo). Questo dato basterebbe da solo a rispondere al perché le produzioni in inglese abbiano più successo. Dato il grande numero di persone in grado di comprenderle, non c’è bisogno di post produzione che si tratti di doppiaggio o traduzioni, e la catena di distribuzione si accorcia notevolmente rendendo godibile l’autore o l’autrice nella sua essenza. Parlando di scrittori, questo enorme bacino di utenza arriva persino a cambiare il concetto di autore che da subito si espone verso un pubblico di 30-40000 persone verso uno di 5000, stimato per un autore che si affacci agli utenti parlanti italiano. Per il primo la scrittura potrebbe diventare ben presto un lavoro esclusivo fatto di opere, tour promozionali, interviste e richieste dai lettori; per il secondo, troppo spesso la scrittura rimane per anni solo una parte marginale della vita non in grado di sostenerla.

Sono ancora i numeri del pubblico a comandarne anche la popolarità: è molto facile intuire che è più probabile scovare un “capolavoro” se gli occhi son quelli di 40000 persone in tutto il mondo contro quelli di 5000. Vien da sé che il rapporto best-seller Italia/estero non regge il confronto e i capolavori italiani (che ci sono e continuano a esserci) restano segregati a piccole nicchie di pubblico o riscoperte dopo troppi anni dalla loro pubblicazione, quando ormai l’autore non c’è più.

Un’altra questione è messa sul tavolo di questo dibattito: cosa in Italia viene considerato “capolavoro”? Ma soprattutto, l’italianità piace agli italiani? Si assiste spesso a un atteggiamento da un lato schizzinoso e dall’altro riluttante dell’italiano (medio) verso tutto ciò che è partorito dal genio di un connazionale. Forse è solo un periodo in cui l’Italia “non va di moda”, ma forse la motivazione è più profonda e ha radici storiche non troppo lontane che rendono questo tema ancora caldo: il nazionalismo associato al fascismo. In Italia tutto ciò che è racchiuso sotto l’aggettivo “nazionalista” viene bollato con un’accezione negativa, cosa che non accade nelle altre nazioni che, anzi, preferiscono i prodotti nazionali (siano essi culturali o materiali) prima di cercarne da fuori.

Ultimo ma non per importanza è il numero di lettori italiani. Al netto di quanto detto poc’anzi sull’aspettativa di lettura di un testo italiano, quanti cittadini realmente leggono? Sempre troppo pochi. Secondo le recenti statistiche, oltre il 48% degli italiani legge al massimo due libri all’anno: se si ipotizza che uno di questi sia un best seller internazionale, cala drasticamenta la possibilità che al secondo posto ci sia un autore connazionale. 

Quello del successo delle opere letterarie non in lingua inglese resta un tema complesso e variegato che sembra non reggere il confronto, ma un buon consiglio resta sempre quello di andare oltre il main stream, essere curiosi, vagare tra gli scaffali (virtuali o fisici) in cerca di quel capolavoro che può stravolgere le nostre letture, anche se non necessariamente ne ha parlato tutto il mondo!