Ingenerò la sorte.
Cose quaggiù sì belle
Altre il mondo non ha, non han le stelle.
Nasce dall’uno il bene,
Nasce il piacer maggiore
Che per lo mar dell’essere si trova;
L’altra ogni gran dolore,
Ogni gran male annulla.
Bellissima fanciulla,
Dolce a veder, non quale
La si dipinge la codarda gente,
Gode il fanciullo Amore
Accompagnar sovente;
E sorvolano insiem la via mortale,
Primi conforti d’ogni saggio core.
Nè cor fu mai più saggio
Che percosso d’amor, nè mai più forte
Sprezzò l’infausta vita,
Nè per altro signore
Come per questo a perigliar fu pronto:
Ch’ove tu porgi aita,
Amor, nasce il coraggio,
O si ridesta; e sapiente in opre,
Non in pensiero invan, siccome suole,
Divien l’umana prole.
Quando novellamente
Nasce nel cor profondo
Un amoroso affetto,
Languido e stanco insiem con esso in petto
Un desiderio di morir si sente:
Come, non so: ma tale
D’amor vero e possente è il primo effetto.
Forse gli occhi spaura
Allor questo deserto: a se la terra
Forse il mortale inabitabil fatta
Vede omai senza quella
Nova, sola, infinita
Felicità che il suo pensier figura:
Ma per cagion di lei grave procella
Presentendo in suo cor, brama quiete,
Brama raccorsi in porto
Dinanzi al fier disio,
Che già, rugghiando, intorno intorno oscura.
Poi, quando tutto avvolge
La formidabil possa,
E fulmina nel cor l’invitta cura,
Quante volte implorata
Con desiderio intenso,
Morte, sei tu dall’affannoso amante!
Quante la sera, e quante
Abbandonando all’alba il corpo stanco,
Se beato chiamò s’indi giammai
Non rilevasse il fianco,
Nè tornasse a veder l’amara luce!
E spesso al suon della funebre squilla,
Al canto che conduce
La gente morta al sempiterno obblio,
Con più sospiri ardenti
Dall’imo petto invidiò colui
Che tra gli spenti ad abitar sen giva.
Fin la negletta plebe,
L’uom della villa, ignaro
D’ogni virtù che da saper deriva,
Fin la donzella timidetta e schiva,
Che già di morte al nome
Sentì rizzar le chiome,
Osa alla tomba, alle funeree bende
Fermar lo sguardo di costanza pieno,
Osa ferro e veleno
Meditar lungamente,
E nell’indotta mente
La gentilezza del morir comprende.
Tanto alla morte inclina
D’amor la disciplina. Anco sovente,
A tal venuto il gran travaglio interno
Che sostener nol può forza mortale,
O cede il corpo frale
Ai terribili moti, e in questa forma
Pel fraterno poter Morte prevale;
O così sprona Amor là nel profondo,
Che da se stessi il villanello ignaro,
La tenera donzella
Con la man violenta
Pongon le membra giovanili in terra.
Ride ai lor casi il mondo,
A cui pace e vecchiezza il ciel consenta.
Ai fervidi, ai felici,
Agli animosi ingegni
L’uno o l’altro di voi conceda il fato,
Dolci signori, amici
All’umana famiglia,
Al cui poter nessun poter somiglia
Nell’immenso universo, e non l’avanza,
Se non quella del fato, altra possanza.
E tu, cui già dal cominciar degli anni
Sempre onorata invoco,
Bella Morte, pietosa
Tu sola al mondo dei terreni affanni,
Se celebrata mai
Fosti da me, s’al tuo divino stato
L’onte del volgo ingrato
Ricompensar tentai,
Non tardar più, t’inchina
A disusati preghi,
Chiudi alla luce omai
Questi occhi tristi, o dell’età reina.
Me certo troverai, qual si sia l’ora
Che tu le penne al mio pregar dispieghi,
Erta la fronte, armato,
E renitente al fato,
La man che flagellando si colora
Nel mio sangue innocente
Non ricolmar di lode,
Non benedir, com’usa
Per antica viltà l’umana gente;
Ogni vana speranza onde consola
Se coi fanciulli il mondo,
Ogni conforto stolto
Gittar da me; null’altro in alcun tempo
Sperar, se non te sola;
Solo aspettar sereno
Quel dì ch’io pieghi addormentato il volto
Nel tuo virgineo seno.
Credo, di Carlo Bramanti
Credo che nessuno muoia
credo che l’anima in realtà
divenga un’ombra
e al culmine del suo vagare
si adagi ai piedi
d’un fiore non visto.
Quei fiori gialli
di cui son piene
le campagne
quando fai ritorno a casa
e vorresti che lei
esistesse.
3) Se dovessi morire, di Emily Dickinson
Se io dovessi morire –
E tu dovessi vivere –
E il tempo gorgogliasse –
E il mattino brillasse –
E il mezzodì ardesse –
Com’è sempre accaduto –
Se gli Uccelli costruissero di buonora
E le Api si dessero altrettanto da fare –
Ci si potrebbe accomiatare a discrezione
Dalle imprese di quaggiù!
È dolce sapere che i titoli terranno
Quando noi con le Margherite giaceremo –
Che il Commercio continuerà –
E gli Affari voleranno vivaci –
Rende la partenza tranquilla
E mantiene l’anima serena –
Che gentiluomini così brillanti
Dirigano la piacevole scena!
Solo la morte, di Pablo Neruda (da Resindencia el la tierra)
Vi sono cimiteri solitari,
tombe piene d’ossa senza suono,/se il cuore passa da una galleria/buia,buia,buia,/
come in un naufragio dentro di noi moriamo/come annegando nel cuore/come scivolando dalla pelle all’anima.
[…]
A volte vedo/solo bare a vela/salpare con pallidi defunti, con donne dalle trecce morte
con panettieri bianchi come angeli,/con fanciulle assorte spose di notai,
bare che salgono il fiume verticale dei morti,/ il fiume livido
in su con le vele gonfiate dal suono verticale della morte.
La morte arriva a risuonare
come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,
riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,
riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola.
[…]
La morte sta sulle brande;/sui materassi che affondano, sulle coltri nere
vive distesa, e all’improvviso soffia:/soffia un suono oscuro che gonfia le lenzuola;
e ci sono letti che navigano verso un porto/dove sta in attesa vestita da ammiraglio.
Elogio alla morte, dalle poesie di Alda Merini
Se la morte fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un’acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poiché la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni senza un perché
o senza variare di senso
nel largo delle mie ginocchia,
a me non importa perché tu mi fai vivere,
perché mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza,
da quel miele tumefatto e impreciso
che è la morte di ogni poeta.
La morte è la curva della strada, dalle poesie di Fernando Pessoa
Concludiamo questo viaggio nella poesia proprio su una strada, dove per Pessoa la morte rappresenta il transito, ed è soltanto qualcosa che ci rende invisibili agli occhi mortali.
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.