Quando sono andata a vedere Everything Everywhere All at Once al cinema, senza particolari aspettative e senza informarmi assolutamente su nulla ( per non rischiare di inciampare in qualche spoiler), tutto mi aspettavo fuorché qualcosa di così sconcertante.
Un film che “racchiude il tutto” e “racchiude il nulla”. Può assumere mille significati diversi e allo stesso tempo può demolire qualsiasi pensiero. È un film mutaforme, in continua trasformazione e totalmente privo di filtri.
Due ore di intrattenimento puro, che riescono a fondere insieme tante idee diverse e diversi generi senza dimenticare comunque una certa profondità, un’ idea di fondo che non rende il racconto fine a se stesso.
Tutto bellissimo fin qui. Ma a malincuore bisogna ammettere che ci sono anche dei difetti.
Cosa va
Everything Everywhere All At Once è stato fin da subito presentato come il più grande film sul Multiverso – che non è associato ovviamente al Multiverso Marvel –,ovvero su quell’insieme di teorie che suggeriscono che il tempo e lo spazio osservabili non costituiscono l’unica realtà possibile.
Partiamo da Michelle Yeoh che veste i panni di Evelyn, una donna cinese trasferitasi negli Stati Uniti che conduce una vita estenuante. Divisa tra la sua lavanderia a gettoni – su cui aleggia lo spettro dell’evasione fiscale – un rapporto tutt’altro che roseo con il marito Waymond (Jonathan Ke Quan) e l’imbarazzo provato suo malgrado per l’omosessualità della figlia Joy (Stephanie Hsu). A completare il quadro un padre (il 93enne James Hong) all’antica che cerca di tenere sotto controllo la vita di una figlia ormai adulta e vaccinata.
La goccia che fa traboccare il vaso arriva quando la protagonista viene avvicinata da un Waymond di un universo alternativo che le svela un’assurda verità: lei potrebbe essere l’unica, tra innumerevoli versioni di sé stessa, a poter salvare ogni universo esistente dalla minaccia di una certa Jobu Tupaki: un’essere che ha visto e ha appreso ogni cosa del multiverso, è in grado di vivere tutte le versioni di sé contemporaneamente, e il cui scopo è l’annientamento totale di tutto ciò che esiste.
Citando Dr. Strange “Il Multiverso è qualcosa di cui sappiamo spaventosamente poco“. Ed è così, tutto d’un botto, che insieme ad Evelyn ci troviamo a conoscere passettino per passettino come funziona questo sistema che all’inizio ci pare del tutto casuale. Con lei esploriamo parte dei mondi paralleli, ricordandoci che le scelte che compiamo possono cambiare totalmente la nostra vita.
In EEAAO si ride e si piange in modo del tutto sconnesso. Emblematica è la frase
“Ho visto la mia vita senza di te. Era bellissima”.
Tutto è fuori posto, tutto è confuso. L’imprevedibile viaggio emotivo e visivo è poi sostenuto da una sbalorditiva creatività registica che mette a frutto un folle mix di genere cinematografici che cambiano repentinamente, così come il turbine di emozioni e situazioni in cui Evelyn viene risucchiata.
Dalla commedia più demenziale, a quella intrisa d’azione tipica dei film di Jackie Chan; dal cartoon che ricorda a tratti film come The Mask, al dramma ricco di pathos. Il tutto corredato da una fotografia che fa sfoggio di numerosi easter eggs e colori caldi o psichedelici, che assumono i toni cangianti della vita.
In particolare l’ultima delle tre parti in cui è diviso il film, “All at Once”, sarà una catarsi finale per ognuno dei personaggi che si ritroveranno uniti, nonostante il caos di fondo, e riscopriranno tutto ciò che di buono si può ricavare dalla realtà presente .
Infine, tra gli elementi assolutamente meritevoli della grande risonanza che ha portato al film 11 nominations Oscar, c’è la splendida Michelle Yeoh, che risulta perfetta in qualsiasi mossa di Kung-fu e in qualsiasi contesto.
E con la sua, ogni singola interpretazione – dal tenero Ke Huy Quan, alla strampalata Jamie Lee Curtis – è preziosa per la tessitura di un film sorprendente.
Cosa non va
Al netto della gran quantità di aspetti positivi descritti sopra, potrà sembrare esigua la quantità di parole che userò qui di seguito per descrivere gli aspetti negativi del film dei fratelli Daniels. Eppure questi potrebbero essere determinanti per l’impressione totale che si prova una volta usciti dalla sala.
Everything Everywhere All At Once è un film che osa molto, può risultare a tratti caotico e disorganico. Ma paradossalmente non è quello il problema principale.
Il limite maggiore sta in una storyline piuttosto abbozzata, che spesso si confonde e si perde nel mare di stimoli diversi di cui è dotato il film.
Alla base di tutto infatti sta un melodramma familiare abbastanza scontato – in primis le incomprensioni madre-figlia, in secondo luogo un rapporto di coppia stanco – che finisce per risolversi attraverso l’enorme metafora del metaverso. L’intricato meccanismo degli universi paralleli, che sembra evolversi in chissà quale direzione, risulta alla fine un semplice mezzo per far comprendere ai protagonisti l’importanza di ciò che hanno e per condurre all’happy ending. Sa un po’ di presa per i fondelli? Sì, un po’.
Complici poi le numerose scene comico-grottesche che da metà film iniziano ad essere non proprio congeniali e che distraggono continuamente da un maggiore coinvolgimento – ad esempio il ripetitivo scenario in cui Evelyn e l’ispettrice stanno insieme e hanno delle assurde dita a forma di wurstel – , visto che si sta cercando di portare la trama verso un binario emotivo diverso, più commovente.
Insomma, EEAAO non passa di certo inosservato e crea sensazioni molto contrastanti. A qualcuno sarà sembrato di sicuro una boiata (per non dire altro) pazzesca, ma come si sarà capito questo non vale per la sottoscritta. È da considerare un nuovo cult del cinema indie? Per tutte le motivazioni di cui sopra, e nonostante tutte le contraddizioni, credo proprio di sì.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.