"Joker: Folie à Deux", cos'è che non va nel film?

“Joker: Folie à Deux”, perché non ha conquistato il pubblico?


Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando il primo trailer di Joker: Folie à Deux sollecitava le deboli aspettative dei più diffidenti, di quelli che alla parola “sequel” già storcono sdegnosamente il naso, a maggior ragione se si tratta del sequel di uno dei film più ragguardevoli dell’ultima decade hollywoodiana.

È triste dover dare ragione a quei sospetti, a scapito di una speranza che poneva le sue basi sulla smisurata bravura di Joaquin Phoenix e sulla carica emotiva del primo Joker, che ci aveva fatto vedere una nuova possibile prospettiva sulle origini di uno dei villain più affascinanti di sempre. Dall’uscita del primo film quando si parlava di Joker al cinema non si pensava più soltanto ad Heath Ledger o a Jack Nicholson prima di lui, c’era questa nuova versione del “pagliaccio assassino” ambientata in un contesto che prendeva tanto da Re per una notte e Taxi Driver di Scorsese ma restava indubbiamente intrigante e accattivante.

Poi cosa è successo? Todd Philips ha perso l’ispirazione o semplicemente si è lanciato in un’impresa più grande di lui, di cui forse neanche era pienamente convinto. Ci si preoccupava del format del musical, della presunta storia d’amore tra Arthur Fleck e la nuova Harley Queen interpretata da Lady Gaga o più semplicemente della piega finale che questo seguito avrebbe potuto prendere. Chi sperava che il sequel di Joker fosse incentrato su quel protagonista intriso di follia che porta il caos nella sua città è rimasto fortemente deluso. Phillips ha relegato Fleck essenzialmente in due luoghi: il manicomio e il tribunale. Al di là di queste mura succede ben poco e il film  si riduce ad uno psicodramma condito da intermezzi musicali spesso non richiesti.

Questo sequel di Joker rinnega sé stesso e quella forza rivoluzionaria che l’aveva caratterizzato. Joker: Folie à Deux non è nemmeno un musical: ci sono tanti momenti musicali, ci sono Joker e Harley Quinn impegnati a duettare sui Bee Gees o su Fred Astaire, ma i sipari musicali coreografati si svolgono nella testa di Arthur e spesso risultano irrilevanti nell’economia narrativa. Ed è nella testa del Joker che si svolge quasi la metà della trama. Oltre all’Arkham e ad episodiche inquadrature delle proteste che si tengono fuori e dentro il Tribunale, si sente l’assenza di scenografie esterne, di panoramiche sulla città di Gotham e, soprattutto, forte è la mancanza di un legame con il mondo del Cavaliere Oscuro.

Checchè se ne dica, l’identità del Joker e la sua costruzione psicologica non possono prescindere dal personaggio di Batman e dall’universo della DC. Il Joker agisce per puro caos, per anarchia, non ha obiettivi se non quello di distruggere l’ordine sociale. Quello di Todd Philips è un Joker che appare fine a se stesso, e addirittura torna sui suoi passi quando sembra che ci sia una piccola scintilla di rivoluzione.

E non basta la spiegazione tardiva secondo cui Phillips avrebbe avuto fin dall’inizio in mente l’idea di realizzare un’opera cinematografica che romperebbe gli schemi e non si concentrerebbe su Joker ma su “un” Joker, su un semplice preludio di quello che sarà il vero villain di Gotham. Non bastano nemmeno le impeccabili interpretazioni di Joaquin Phoenix e Lady Gaga, che fanno la grossa fatica di portare avanti una sceneggiatura così effimera.

Alla fine la sensazione è quella di aver assistito ad un drama dalle tinte thriller che poteva tranquillamente chiamarsi in un altro modo. Arthur Fleck compie un viaggio fine a se stesso e come tale non ha molto senso di esistere.