Pani ca Meusa: lo street food palermitano

Pani ca Meusa: lo street food palermitano

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Il pani ca meusa incarna ormai il volto del cibo di strada siciliano, insieme ad altri piatti come le panelle e le arancine: si tratta di un panino farcito con milza, polmone e trachea cucinati in modo saporito e serviti nei vicoli della meravigliosa e suggestiva città.

Scopriamo insieme da dove deriva questo piatto e come prepararlo!

Origini della ricetta

Le origini del piatto sono legate alla cucina kasher di tradizione ebraica: il piatto nasce quando dei macellai di origine ebraica si stanziarono a Palermo. La religione professata non gli consentiva di percepire denaro per il proprio lavoro, motivo per cui trattenevano come ricompensa le interiora del vitello: budella, polmone, milza e cuore. Tra queste frattaglie non c’era il fegato, perché aveva un valore economico maggiore e veniva venduto separatamente.

I macellai si ingegnarono per trasformare la ricompensa ottenuta in denaro. Come riuscirono a farlo? Osservando i gusti culinari dei cittadini.

Si accorsero che i cristiani erano soliti mangiare le interiora degli animali, accompagnandoli con formaggio o ricotta; consapevoli dei gusti dei nativi, idearono un panino farcito con: polmone, milza e “scannarozzato” ossia pezzi di cartilagine della trachea del bue.

Alla fine del 1400, sotto il dominio del Re Ferdinando il Cattolico, la comunità ebraica venne espulsa, ma alcune tradizioni rimasero comunque vive. Questa specialità è composta da semplici ingredienti: pane morbido, solitamente a forma di mafaldina ricoperta di sesamo, chiamata vastedda al cui interno si trovano, come abbiamo detto, fettine sottili di milzapolmone di vitello e cartilagini della trachea del bue.

Gli attrezzi per la preparazione

Per preparare la ricetta, servono attrezzature caratteristiche: una pentola inclinata, con lo strutto bollente nella parte bassa, mentre in alto attendono le fettine che verranno soffritte al momento della vendita.

La carne viene precedentemente bollita o cotta al vapore interi per 25/30 minuti, in seguito tagliata a fettine sottili e soffritti a lungo nella sugna (lo strutto). Il panino può essere integrato con caciocavallo grattugiato o ricotta

Altro arnese fondamentale è la forchetta a due denti serve per estrarre le fettine dal grasso di cottura, che vengono rapidamente scolate e inserite nel panino, in precedenza privato dell’eccesso di mollica.

Con la schiumarola inoltre vengono prelevati i pezzi più piccoli ed eseguita un’ulteriore scolatura del grasso di cottura mediante rapida strizzatura del panino, talvolta con l’ausilio di carta assorbente. Una volta cunzatu (condito) il panino viene servito caldo, in carta da pane o assorbente.

Vi è venuta fame?

Per gustarlo recatevi nella sua patria, la Sicilia, ammirando le meraviglie nascoste nella metropoli palermitana. Da dove partire? Beh, la Cattedrale dedicata a Santa Rosalia può essere una buona idea. Al suo cospetto vi sentirete piccoli e circondati da innumerevoli dominazioni e contaminazioni culturali.


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