9 maggio ’62 nasce Dave Gahan dei Depeche mode

I Depeche Mode sono uno di quei gruppi che si prestano a essere pensati nell’insieme. È una band che quando viene in mente non lascia apparire per prima cosa il frontman. Addirittura molti fan sostengono che il vero leader sia Martin Gore, il tastierista che è stato autore della maggior parte dei brani del gruppo. Ma c’è da dire che se si va a vedere un loro concerto, si scopre un cantante che occupa sempre la scena, con la sua voce trasfigurata, le sue danze autentiche e stereotipe e il suo naso etrusco. Parliamo di Dave Gahan che compie il 9 maggio 59 anni. Incredibile che quel ragazzetto che cantava Just can’t get enough sia ormai diventato un sessantenne. Proprio lui che quando esordiva sembrava ancora un bambino. Lui che è finito per rappresentare il giovane degli anni ‘80, dissoluto, autodistruttivo, romantico e decadente. Uno di quei ragazzi che nell’Inghilterra degli ultimi anni settanta trovavano le loro ragioni nel punk e che si apprestavano a creare un nuovo genere di musica, quella che viene considerata la new wave. Se si pensa alle band più importanti di questa nuova onda vengono in mente i Cure, i Joy Division e i Depeche Mode. Ciascuno diverso dall’altro, ma accomunati da un medesimo sentimento di rassegnazione davanti al nuovo mondo che stava nascendo. E questo si mostrava anche nella musica, diventata elettronica, con i ritmi monotoni delle drum machines. I Depeche Mode rappresentano il massimo esempio di quel sottogenere che fu lelektro-pop. La loro musica arrivò a chiunque. Erano famosi e sempre in vetta alle classifiche. Non parliamo di un gruppo di nicchia. I Depeche Mode erano geniali ma al contempo accessibili a chiunque.

Dave Gahan è l’inconfondibile voce di questa band. Figura misteriosa, non troppo appariscente fuori dal palco. Lui con quella voce grave che in quei tempi tra Ian Curtis, Peter Murphy, Nick Cave, diventava di tendenza. Il suo look si è però differenziato. Non è mai stato particolarmente dark. Il suo taglio di capelli sempre corti e ingellati. Iniziava la carriera con i capelli ossigenati, ma poi si affermava con i capelli neri e tale rimaneva. È interessante che il look di Dave Gahan, come la musica, riuscisse a portare chiunque a identificarsi. I Depeche Mode erano la quintessenza del pop, seppure avessero testi profondamente poetici, musiche a tratti malinconiche, atmosfere cupe, pure quando dissimulate in un’allegra apatia nichilista. Esempio è il brano people are people, contenuto nell’album Some great reward, capolavoro del 1984. In quel brano l’allegrio mood diventa rafforzativo del sarcasmo contenuto nel testo, dove si tende a ridere della vittima che si lagna della gente cattiva.

Dave Gahan proveniva dalla periferia. Era cresciuto nella strada e l’incontro con Vince Clarke, il vero fondatore dei Depeche Mode, fu per lui una svolta esistenziale. Perché i Depeche erano il futuro, anzi il presente. Erano passati gli anni settanta in cui l’elettronica era stato un genere di nicchia, pienamente sperimentale. Ora finalmente quella musica era pop, era attuale. E lui aveva il ruolo di essere il frontman della band che, nel genere, sarebbe diventata la più importante al mondo. Ma ci mise anni per vincere il suo impaccio, così costruì un vero e proprio personaggio, caratterizzato da gesti spettacolari e inconfondibile atarassia vocale.

Centrale fu anche il ruolo della droga nella sua vita. Motivo per cui in diversi periodi della sua vita dovette recarsi presso centri di recupero per superare il problema. Certamente Dave Gahan ha preso una grande responsabilità, pur senza forse esserne stato troppo consapevole. Ed è quella di rappresentare lo spaccato di un’epoca, riuscendo a sopravvivere. La sua voce è diventata nota a tutto il mondo. Negli anni duemila ha iniziato una carriera solista che non ha suscitato troppa attenzione. Ma ricordo in Paper monster del 2003 brani come Stay ben riusciti, dove non ha mai smentito il suo desiderio di stare al passo con i tempi utilizzando un autotune.

Insomma Dave Gahan, un mito proveniente dalle periferie, che ha inventato gli anni ‘80 e che ancora oggi ci racconta l’eleganza che nasce dal dolore di una vita orgogliosa.