Non sopporto i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz, punk inglese, neanche la nera africana.
Insomma si può dire che Franco Battiato non ne potesse più di questa musica contemporanea. Lo dichiarava infatti a gran voce nel suo brano Up patriots to arms. Non si capisce bene se in questo astio fosse compresa anche la musica Classica del ‘900, quella comunemente definita contemporanea. Sentendo brani come Prospettiva nevski, dove fantasticava di aver incontrato Igor Stravinski, o Voglio vederti danzare, dove fa riferimento a vecchi valzer viennesi, che ricordano molto Strauss, pare che tutto sommato non la disprezzasse. Si può dire infatti che Battiato, essendo nato il 23 marzo 1945, abbia vissuto appieno il cambiamento della musica. Lui che negli anni sessanta esordiva come cantante pop, e che poi faceva partire la sua carriera discografica con un album sperimentale come Fetus, nel 1972. Uno dei brani contenuti in quel disco diceva a un certo punto: x1= A*sen (ωt) e x2= A*sen (ωt + γ) formula matematica che definisce le eliche sinusoidi del DNA. Aveva iniziato a trattare tematiche vicine alla filosofia, al misticismo. Una musica che riecheggiava il progressive rock, sonorità elettroniche, kraut (in certi momenti ricordava Klaus Schultze). I primi album erano così. Ad esempio Clic del 1974, un album che ho molto amato, in cui si sentono le influenze provenienti dalla musica colta contemporanea, come Stockhausen o Cage. Il brano No U Turn dice: per conoscere me e le mie verità io ho combattuto fantasmi d’angoscie con perdite d’io.
Già ai tempi Battiato aveva le sue fissazioni, il suo desiderio di conoscere. Un artista che ha portato la ricerca della conoscenza a un ambito legato al diletto. Un siciliano nato in provincia di Catania che agli inizi degli anni ‘70 proponeva ispirazioni di musica tedesca a un popolo che era abituato a Celentano e Mina (ben prima che collaborassero). Un nuovo modello: il musicista colto, con gli occhiali, citazionista e sperimentatore. Con dischi interamente strumentali come quello omonimo del 1977 dove eccede nel minimalismo.
La svolta avviene con L’era del cinghiale bianco in cui troviamo brani diventati indimenticabili e perfettamente pop nel loro essere raffinati e aderenti alla new wave che arrivava dal nord Europa. Già in quell’album esplicitava la sua passione per l’esoterismo con brani come Il re del mondo come l’omonimo saggio di René Guenon anche se non si faceva mancare le critiche al mondo della spiritualità inglobata dal mercato in brani come Magic Shop.
Poi il successivo Patriots in cui inizia la collaborazione con Fleur Jaeggy la scrittrice compagna di Roberto Calasso. Da lì Battiato è consacrato nel mondo della cultura. Ne fa parte. Ma il vero successo, quello popolare, arriva nel 1981 con La voce del padrone il capolavoro del pop italiano. Un disco in cui tutte le canzoni sono orecchiabilissime, conosciutissime. Esempio sono Centro di gravità permanente, Cuccuruccuccù e Bandiera Bianca. Brani in cui si portano al grande pubblico concetti presi da Gurdjeff e citazioni ribaltate di Adorno come minima immoralia. O anche l’amarezza del quotidiano quando dice: com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore. Già. Il misticismo è poi diventato un elemento centrale. Album come Mondi lontanissimi del 1985 o Fisiognomica del 1988. Quell’ E ti vengo a cercare citata anche da Nanni Moretti in Palombella rossa. Brani indimenticabili, importanti. Battiato non ha mai smesso di essere grande. Ha continuato a produrre capolavori anche negli anni ‘90. Caffè de la paix del 1993 è un altro omaggio a Gurdjeff. Poi il periodo con Sgalambro di cui L’imboscata è l’apice. E intanto passa ignaro il vero senso della vita. Ci cambiano capelli, denti e seni, a noi che siamo solo di passaggio. O anche quel celebre Supererò le correnti gravitazionali che gli è valso la divertente parodia di Stefano Bollani.
Ed oggi celebriamo il suo compleanno mentre di lui sappiamo solo che non può saperne nulla. Non sappiamo bene che cosa succeda a Battiato, sappiamo solo che già ci manca tantissimo. E se ci dicono che non ci saranno più sue nuove canzoni non possiamo che ricordare di quando ci diceva insieme a Juri Camisasca che la musica muore.
Luca Atzori, laureato in filosofia, ex direttore artistico del Teatro Piccolo Piccolo, Garabato e membro fondatore del Mad Pride di Torino. Drammaturgo, attore, poeta, cantautore. Autore dei libr: Un uomo dagli occhi rotti (Rizomi 2015) Gli Aberranti (Anankelab 2019), Teorema della stupidità (Esemble 2019) Vangelo degli infami (Eretica 2020) e dei dischi Chi si addormenta da solo lenzuola da solo (2017), Mama Roque de Barriera (2019) Insekten (2020) Iperrealismo magico (2020) Almagesto (2021).