L’uomo prima della rockstar. Questo è ciò che racconta Stardust, il primo biopic (non autorizzato), dedicato all’eclettico artista della scena musicale inglese, David Bowie.
Gabriel Range, il regista, offre per la prima volta una prospettiva diversa dell’icona glam rock, portando sullo schermo David, un ragazzo inglese di soli 24 anni, dai capelli lunghi, spesso in tacchi ed abiti femminili, alla continua ricerca di se stesso, con un album di poco successo alle spalle ed un viaggio verso gli States davanti. Stardust è un viaggio introspettivo che indaga sull’evoluzione della follia, quella del fratello Terry, con noti problemi mentali e quella di David che, incanalata nell’arte e nella musica, gli evita il manicomio e lo indirizza verso la creazione di Bowie, icona della musica ma soprattutto di Ziggy Stardust, l’alter ego che lo salverà e che sarebbe comparso per la prima volta il 10 febbraio 1972.
<<Con Ziggy Stardust, il suo alter ego, David varca il confine labile della follia, riuscendo però a salvarsi. Proprio a Rolling Stone lui disse: “Non so chi sia David Bowie”. E uno dei personaggi, durante il film, gli dice: “Se non sai chi sei, inventati un altro”. Lui lo fa, perché così può fare lo stesso percorso del fratello senza entrare materialmente in manicomio; per capirlo, forse, e per evitare al contempo di fare la stessa fine – così afferma Range – Anche Terry cantava meravigliosamente, ci sono diverse testimonianze in proposito, ma David ha avuto l’arte a salvarlo, a fare in modo che in lui convivessero più identità senza che vi si perdesse>>
Un film molto poco musical, che non lascia spazio agli inni di Bowie, (peraltro non concessi dalla famiglia), quanto, invece, introspettivo, concedendo allo spettatore la possibilità di analizzare nel profondo le fragilità, le paure e le follie di David, un ventiquattrenne controverso e geniale, all’inizio della sua rivoluzione personale.
“Volevo lavorare su chi fosse, sulle sue paure. Ecco perché mi interessavano più le cover di Lou Reed e Jacques Brel, fondamentali nella costruzione dell’artista e del suo bagaglio musicale, e che in un kolossal che avesse per colonna sonora le sue greatest hits non troverebbero posto – spiega Range – Quel processo di rielaborazione di sé, intimo e creativo, è il centro di tutto, per me”
Bowie è magistralmente interpretato da Johnny Flynn, attore e musicista, che ha in sé la sfrontatezza e la sensibilità necessaria per interpretare un gigante della musica. Rispetto al suo ruolo dice:
“Ero terrorizzato, ovvio. Per questo ho finto che fosse un personaggio come tutti gli altri, ho letto quello che potevo, ho parlato di lui con chi lo conosceva, ho divorato il copione più volte. Come se non fosse il dio della musica, ma un ruolo qualsiasi. Era l’unico modo per esorcizzarlo, ed è stata una fortuna per me, perché lì ho capito che non dovevo imitarlo – anche se ci ho tenuto a rispettarlo, lavorando con un coach vocale per replicarne pause, toni e sfumature –, ma offrire al pubblico qualcosa che non conosceva, di intimo e di creativo”
Il film presentato e proiettato per pochi il 16, 17 e 23 ottobre alla Festa del cinema di Roma, sarà in uscita on demand il 25 novembre. La persona prima del personaggio, David prima di Bowie. Un biopic assolutamente imperdibile.
Laureata in marketing e masterizzata in comunicazione e altro che ha a che fare con la musica. Fiera napoletana, per metà calabrese e arbëreshë, collezionista compulsiva di vinili, cd o qualsiasi altro supporto musicale. Vanto un ampio CV di concerti e festival.