Nel marasma del Festival di Sanremo, immersa come sono ad inizio febbraio nell’evento nazionalpopolare più atteso dell’anno, accendo il Mac e prendo una pausa dalla parentesi musicale ligure. Sono giorni che ho in testa e nelle orecchie un po’ di Scozia, un sano flashback nell’indie di inizi ’00 ed un richiamo al britpop d’annata. The Snuts è il nome più frequente sul mio account personale di Spotify, da un po’ di tempo a questa parte.
Guardo fuori dalla finestra della mia stanza d’albergo e nonostante le previsioni grigie, il cielo mostra un timido sole. Anche il meteo sembra collegarmi dall’altra parte dello schermo: Callum “29” Wilson dei The Snuts mi accoglie con un sorriso che non fatica ad essere ricambiato, complice il suo cagnolino che fa da perfetto sfondo alla nostra chiacchierata. La band scozzese è al suo terzo album, in uscita oggi 23 febbraio. Millennials, come in cover, è una ventata di positività, un salto nel passato con la freschezza del presente, tra riff di chitarre e ritornelli catchy che non smentiscono l’identità della band.
The Snuts: un nome ormai ben consolidato nel panorama britannico da anni. Come è nata la band?
Joe (McGillveray – chitarrista) e Jordan (Joko’ Mackay – batteria) li ho conosciuti davvero tanti anni fa, penso fossimo all’asilo la prima volta che ci siamo visti. Abbiamo conosciuto Jack (Cochrane – voce e chitarra) alle superiori ed è lì che ci è venuta l’idea di mettere su ufficialmente la band. Io ero in realtà ero un semplice chitarrista, loro avevano già un gruppo. Ho sostituito il loro bassista e ci siamo fatti gli show delle scuole superiori e i piccoli localetti che ci permettevano di entrare e suonare anche se non eravamo grandi abbastanza da poterci permettere delle pinte di birra.
Glasgow, il primo singolo, è uscito nel 2016 ed ha subito conquistato tutti.
Si, è stato pazzesco. E pensare che “Glasgow” l’abbiamo registrata nella stanza da letto di un nostro amico. Incredibilmente è cresciuta una fanbase e da lì siamo arrivati ad incontrare le case discografiche. C’era solo da scegliere con chi firmare. Da lì è storia.
Dal 2016 ne è passato di tempo. Da W.L, il primo album, passando per Burn The empire uscito nel 2022, siamo al terzo lavoro in studio, Millennials. Che evoluzione ha conosciuto la band?
Con “Burn the Empire” eravamo super frustrati dalla situazione, dai problemi con la casa discografica, dall’assenza di finanziamenti da parte del governo in un periodo così difficile. Eravamo molto arrabbiati e il disco è stato un po’ la testimonianza di quanto lo fossimo per tutto questo. Con Millennials abbiamo deciso di lasciar andare tutti questi sentimenti negativi. Abbiamo lasciato spazio alla gioia perché la frustrazione, la rabbia non era sana, intaccava la nostra vita come band, intaccava le nostre relazioni personali. Ce ne siamo liberati per noi stessi e per gli altri.
Millionaires, uno dei singoli che ha anticipato l’uscita di Millennials, è infatti un vero inno romantico.
Vero. Con Millennials abbiamo voluto che la bellezza delle piccole cose invadesse il senso generale del disco, il momento in cui ti innamori del tuo partner, la colazione la mattina, la gioia nel fare le cose quotidiane. Volevamo che chi ascoltasse, si sentisse meglio, più felice.
Qual è la traccia che consiglieresti a chi non ha ancora ascoltato il disco?
Novastar. È senza dubbio la mia preferita, un caotico rock’n’roll, un’esplosione contagiosa. Live sarà incredibile.
Quali erano e quali sono oggi le vostre reference musicali?
Siamo partiti da un unico amore comune per l’indie britannico: Libertines, Arctic Monkeys, Kings of Leon, The Kooks. Poi piano piano i nostri confini si sono allargati, ampliando in modo più eclettico gli ascolti, dall’ hip hop al soul, al drum’n’bass. Siamo partiti da una cosa estremamente basica, un clichè di quei tempi, per poi aprirci al nuovo, parlando tra noi, confrontandoci e mettendo insieme tutto.
Alle spalle avete dei live importanti. Millennials, infatti, è frutto di lunghi viaggi in tourbus e stanze d’albergo. In programma a breve avrete un mini tour in UK ed uno in USA. Emozionati?
Non vediamo l’ora di suonare live. Personalmente sono emozionato di tornare in America, è un mondo totalmente diverso. È tutto così “americano”, è come essere perennemente in un film. Ma non vedo l’ora di andare in giro per l’Europa in estate con i festival che abbiamo in programma.
The Snuts campeggia ormai nelle line up più importanti dei festival europei, al fianco di nomi enormi. Com’è essere lì tra quelli che erano i vostri idoli?
Un sogno. Ti racconto questa cosa. Un anno abbiamo fatto da supporter ai Libertines. Solitamente le grandi band non sono lì ad ascoltare chi viene prima di loro. Invece proprio mentre stavamo suonando, mi giro e vedo da un lato Pete Doherty e Carl Barat e dall’altro Gary Powell. Io ero lì a suonare, con il simbolo dei Libertines sul braccio da vero fan e loro ascoltavano. Un vero sogno.
Bellissimo, solitamente non ci si aspetta questo supporto.
Si, al massimo si dice che le band supportano le altre, ma il più delle volte è perché condividono le case discografiche, i manager, gli agenti. Stavolta non era così. Gary Powell ha un suo show radiofonico e ha passato diverse volte la nostra musica. Il fatto che un tuo idolo sia a sua volta tuo fan, fa davvero emozionare.
Nel prossimo tour europeo, ci sarà spazio per una data italiana?
Spero di si. Vorrei tornarci in Italia. Ci siamo venuti lo scorso anno ma siamo stati giusto due giorni non abbiamo avuto modo di vedere nulla. Stiamo aspettando con ansia una mail dal nostro agente che magari ci comunichi una data qui da voi. Incrociamo le dita.
Stiamo per chiudere la call e, tra una risata ed un racconto, a proposito di idoli in comune, si parla di Noel Gallagher.
Una volta l’ho incontrato – racconta Callum – eravamo ad uno stesso festival. Ci siamo incrociati e ho pensato “ci devo parlare, ci devo parlare”. Alla fine sono stato davanti a lui in silenzio per una decina di secondi e sono fuggito. Avrà pensato “Ma chi cavolo è quel pazzo?”
I The Snuts sono al terzo disco all’attivo, registrato senza major, affidandosi ad una propria etichetta discografica, la Happy Artist Records. Le vendite, i sold out e gli stream conquistati oltremanica non li hanno cambiati. I piedi sono rimasti ben saldi a terra. E forse è proprio questo il segreto del loro successo.
Laureata in marketing e masterizzata in comunicazione e altro che ha a che fare con la musica. Fiera napoletana, per metà calabrese e arbëreshë, collezionista compulsiva di vinili, cd o qualsiasi altro supporto musicale. Vanto un ampio CV di concerti e festival.