Dopo nemmeno un giorno dalla morte del suo compagno di vita, il covid, flagello di questo instancabile 2020, ha portato con sé anche uno dei volti del panorama artistico mondiale più in voga negli anni 90, la critica e curatrice Lea Vergine, nome d’arte di Lea Buoncristiano.
Ci lascia dopo 82 anni vissuti tra arte pittorico e scrittura di saggi e articoli. Nel corso degli anni ha collaborato con “Il manifesto” e il “Corriere della sera” ed ha pubblicato vari saggi sull’arte contemporanea. Fra le sue opere più rappresentative e pragmatiche troviamo: L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, redatta da “Il Saggiatore” nel 2005 e Body art e storie simili. Il corpo come linguaggio pubblicato da “Skira” nel 2000.
Napoletana in tutto e per tutto, aveva conosciuto suo marito, Enzo Marti, negli anni ’60, quando entrambi erano sposati. Questa cosa creò alcuni pettegolezzi e fu accusata di concubinaggio. Pochi anni dopo in Lombardia però, riuscì a convolare a nozze con il suo amato con il quale ha condiviso anche lo stesso reparto covid dell’ospedale San Raffaele di Milano fin all’ultimo giorno di vita.
Una persona di cultura immensa e ricca di amore e passione per ogni forma d’arte, come dimostrano i suoi innumerevoli scritti in merito con particolare attenzione alla figura del corpo umano come massima espressione d’arte. Dopo Philippe Daverio, un’altra icona dello scorso decennio ci abbandona lasciandoci in eredità pensieri, parole e stralci d’arte.
La ricordiamo con una delle sue ultime citazioni, emblemi del suo essere: “È inutile che lo spettatore cerchi nella visione di un’opera d’arte qualcosa che lo consoli. Troverà solo qualcosa che lo dilanierà. Starà a lui decidere come adoperarlo.“