Per capire perché per la comunità sorda italiana il 19 maggio 2021 sia una data storica, dobbiamo tornare indietro nel tempo. È il 1980 e, a Milano, viene organizzato il “Congresso internazionale per il miglioramento della sorte dei sordomuti“.
“La vittoria della parola era in gran misura stabilita ancora prima che il Congresso cominciasse” disse il delegato inglese; infatti su 164 delegati, 56 erano oralisti francesi e 66 oralisti italiani, cioè si fece deliberatamente in modo che, a prevalere, fossero le idee oraliste. In Italia, dopo l’unificazione si sente forte la necessità di unificare la lingua italiana. Alla necessità di una lingua unica, si affianca una pedagogia che reputa la parola, indice di astrattezza e razionalità, superiore al segno. Secondo questa filosofia il gesto è concreto, quindi uno strumento limitato e limitante, la parola è un concetto piu’ astratto, dunque più funzionale e valido.
Ma cos’è il metodo oralista? E quali conseguenze ebbe, nei cento anni a venire l’uso del metodo orlalista?
L’oralismo è il metodo con cui si insegna la lingua parlata ai sordi che mira, però, piu’ alla corretta pronuncia del suono, che alla comprensione del significato della parola. Esso si basa su due principi: l’importanza dell’espressione verbale, la lettura delle labbra escludendo, però, in maniera assoluta, l’uso delle lingue dei segni.
Dopo il Congresso di Milano, quello oralista fu il solo metodo utilizzato per l’educazione dei sordi. Ciò, però, non impedì ai gesti di essere utilizzati per la comunicazione informale all’interno della comunità dei sordi, ma anche da insegnanti e assistenti, che non comprendevano a pieno il fatto che i segni costituissero una lingua vera e propria.
Dopo il congresso, fino alla prima metà del Novecento i bambini sordi acquisirono male uno o entrambi i codici, ciò significa che ci fu non solo un impoverimento linguistico, ma anche una limitazione importante della possibilità di comunicare. La legge 517 del 1977, però, cambierà le cose, in quanto abolisce le scuole speciali e le classi differenziali, dando, così, ai bambini sordi, la possibilità di essere inseriti nelle classi normali.
Oggi, il riconoscimento della lingua dei segni italiana, rappresenta un traguardo storico davvero importante. Il Decreto sostegni, diventa legge, l’articolo 34-ter. “riconosce, promuove e tutela la lingua dei segni italiana (LIS) e la lingua dei segni italiana tattile (LIST)”, ciò significa non solo riconoscere la LIS e la LIST come lingue, ma che riconoscere come professionisti specializzati le figure dell’interprete LIS e dell’interprete LIST, ma non solo. Infatti, il riconoscimento della LIS e della LIST come lingue significa che “per favorire l’accessibilità dei propri servizi, le pubbliche amministrazioni promuovono la diffusione dei servizi di interpretariato in LIS e in LIST, la sottotitolazione e ogni altra modalità idonea a favorire la comprensione della lingua verbale nonché iniziative di formazione del personale”.
Dopo una storia travagliata, lunga e difficile, quelle dei segni sono lingue che, finalmente, trovano il loro posto nella società, che finalmente hanno il loro lieto fine. Pensiero comune che il segno possa uccidere la parola, ma mai convinzione su più errata. Dall’America, in cui la lingua dei segni non è mai stata ostacolata, arrivano i “Baby sings”, un programma di comunicazione gestuale, per bambini udenti, che insegna e dà la possibilità al bambino di parlare prima che inizi a parlare. I segni, infatti, sono anche usati in alcuni casi di autismo, per permettere al bambino di comunicare.
La lingua dei segni non impoverisce il linguaggio, non uccide la parola, ma è un arricchimento e una lingua affascinate, bella perché visiva. Le parole possono danzare sulle mani o sulle labbra, senza perdere di bellezza, di significato e di forza.