Uno dei primi a parlarne è stato proprio Tiziano Ferro, all’inizio di questo grave periodo storico che ha toccato tutti noi nel profondo. Il Covid-19 ha sfaldato l’economia – già precaria – italiana, ha portato allo stremo i nostri ospedali, ci ha fatto avere terrore anche per un semplice “ciao” tra amici e familiari e ha fatto si che ogni tipo di assembramento venisse vietato per paura del contagio.
La stagione degli spettacoli ha visto chiudere le porte degli stadi, non solo alle partite, ma anche agli eventi live che rendono le nostre vacanze più spensierate ed allegre. Biglietti e prevendite venduti a vuoto, posti a sedere vuoti, ed il “sold-out” alla quale ci hanno abituato, da sempre, è diventato un lontano ricordo. Chi mai l’avrebbe detto? Il mondo dello spettacolo, come il mondo del lavoro in generale, è stato messo in ginocchio dalla pandemia. Gli artisti hanno dovuto rinunciare ai loro tour e si sono inventati vere e proprie sessioni acustiche in casa per rendere più piacevole la quarantena ai loro fan. Hanno cantato dai balconi, alcuni persino dai tetti. E’ stato bellissimo e tristissimo allo stesso tempo.
Ma c’è una cosa che non viene mai detta, come gli artisti, ricordano spesso: durante una diretta social, non hai bisogno di un impianto audio, ne di luci e neppure di un palco. Tutto molto più facile, certo ed immediato. Ma c’è una cosa che molti si dimenticano, ovvero che dietro quello show che vedete, dove vi emozionate, piangete e sorridete per una canzone che vi piace un sacco, ci sono milioni di lavoratori, e quando dico milioni, intendo proprio quella cifra. Per costruire quello che appare ai vostri occhi servono mani coraggiose e zero paura del vuoto. Un esempio recente? Il più grande spettacolo dopo il Big Bang ideato sulle spiagge italiane l’estate scorsa al Jova Beach Party, è costato una settimana per montaggio e smontaggio, di tonnellate di ferro, impianti luci ed impianti audio per ogni concerto che ha toccato i mari e le spiagge più importanti d’Italia. I “cluster” (ovvero le casse) che vedete ciondolare sulle vostre teste, e da dove fuoriescono decibel e decibel di musica dal vivo, qualcuno l’ha sopra li ha messi e li dovrà pure togliere. Così come tutte quelle travi da dove scendono quelle luci colorate e fantasmagoriche che ci permettono di vivere un momento magico. E un “Raptor” ( meglio conosciuto come testa mobile per gli addetti ai lavori) non ha proprio lo stesso peso di una piuma di canarino. Portarlo ad una certa quota è sempre molto rischioso. Soprautto se lo fai per quaranta volte nella stessa giornata. Ci sono poi vostre grazie “putrelle” ovvero una sorta di travi che collegano un’americana all’altra, che hanno una larghezza minima di quindici centimetri. Quindi oltre che rigger, devi essere pure un ottimo equilibrista, evitando il più possibile una caduta tragica. Ci sono uomini che s’imbragano come degli scalatori del Monte Bianco e che smontano e rimontano senza sosta pur di garantire lo svolgimento del tour in totale sicurezza, per chi si esibisce e per il pubblico presente. Ma non solo: ci sono gli scenografi, i ragazzi al mixer, gli assistenti di palco, quelli che da una regione o da uno stato all’altro si spostano insieme alla band per garantire il materiale per lo svolgimento di ogni singola data del tour senza intoppi. Tutto questo per far aprire gli occhi su una questione molto più ampia, di un cantante che non canta dal vivo.
Il concerto e l’evento in sè sono solo la punta dell’Iceberg, per essere chiari. Perché dietro la meraviglia dei vostri occhi, c’è un lavoro di squadra, ma anche di singolo che non va affatto sottovalutato. Dietro un artista che sta su un palco c’è un esercito di professionisti: tecnici del suono, architetti delle luci, tecnici luci, elettricisti macchinisti, montatori, facchini, autisti, direttori di fotografia, scenografi, assistenti, uffici stampa. E poi scrittori, sceneggiatori, registi, coreografi, insegnanti, agenti, fotografi, studi di registrazione, discografici, grafici, stampatori, direttori di festival, club, associazioni, negozi, piattaforme digitali. Che spesso non vengono retribuiti neppure a dovere. A questo proposito voglio citare le parole di Paolo Fresu, famoso jazzista italiano che disse in un’intervista: “l’Arte e la Musica sono sinonimo di speranza: e quest’ultima deve essere concessa a tutti.”
Se non ci fossero quelli “dietro le quinte” ad aggiustare il mondo e la meraviglia che di un concerto, la luce e la musica addosso, non vi arriverà mai. Statene pure certi.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.