“Ero un figo anche se non ve l’hanno mai detto” Giacomo Leopardi

Fonte foto copertina: Caricatura Giacomo Leopardi (Tullio Pericoli)

Di solito le pasticche letterarie, mi sono sempre servite per dissacrare ogni poeta o scrittore che ha reso grande ed immenso il nostro passato letterato, ma stavolta no. Stavolta, da grande pessimista quale sono, ve lo devo proprio dì: Don’t touch my Giacomino! Si proprio lui, quello che ritenete gobbo, brutto, e pure portatore di scarogna perché è l’idolo della vita mia. Perché si, dobbiamo avere il coraggio di dirlo: “Leopardi, non era uno sfigato, come avete sempre creduto, ma un figo, un figo pazzesco.”

Premessa fatta, passiamo ad analizzare la sua figura, come uomo, poeta, scrittore e ideatore di un’ideologia realistica che ci portiamo dentro sin da bambini, quando nei primi tempi degli anni novanta cantavamo tutti a squarciagola “Vaffanculo” di Marco Masini dedicandola un po’ a tutti gli stronzi, che hanno fatto parte della nostra vita. Ecco, Leolino, anticipò il caro Marco, già nell’800, cercando una felicità piu introspettiva e liberatoria a quella alla quale siamo abituati a vivere in quest’epoca, colma solo di una superficiale esteriorità. Egli aveva anche un buon primato della creatività sulla ragione, cosa che ad oggi, possiamo asserire solo ai piu grandi artisti del nostro tempo e del nostro mondo.

Ma chi è Giacomino?

Facendo proprio la professoressa, vi rinfresco un po’ la memoria su questa grande figura:

Giacomo non è un romantico. Tanto è vero che nella polemica fra romantici e classicisti dibattutasi in Italia negli anni dieci e venti si schiera dalla parte dei classicisti. In realtà non è nemmeno quello, ma un vero e proprio “isolato.” Praticamente raga, aveva capito che a farsi i fatti propri si campa cent’anni.

Negli anni della sua formazione Giacomino viveva a Recanati, una cittadina alla periferia, sotto dominio dello Stato Pontificio. Recanati non aveva una vita culturale, era estranea un po’ tutto ciò che accadeva al di fuori delle su stradine sterrate, ai dibattiti intorno alle nuove forme letterarie che si svolgevano in una fiorente Milano o in un’acculturata Firenze, non conosceva i fermenti politici che agitavano gli intellettuali del tempo impegnati nella polemica sopra riportata. Un paesello di provincia, in parole povere, dove però chi forse aveva voglia di conoscere il mondo sotto molti aspetti esisteva già. E portava il suo nome. Già di per sé questa cosa lo rende meno sfigato di quanto vi è sempre sembrato. E migliore di quello che a cui siete sempre stati abituati. L’unico strumento a disposizione di Leopardi per formarsi e avere una cultura di tutto rispetto a suo tempo, era la ricca biblioteca del padre, e sta di fatto, che in quell’angolo di vita, Giacomino nostro ha iniziato a coltivare la sua arte. Egli, era un piccolo bambino straordinariamente precoce. Proprio per quell’interesse maturato verso la cultura. Cosa che hai giorni nostri pare essere davvero qualcosa di molto rivoluzionario, e tendenzialmente anticonformista. Che un po’ ci riporta alla bellezza, quasi “angelica” di chi a suo modo “in silenzio” decide di cambiare il mondo, o meglio di lasciarsi andare ai sogni. Alla cultura. Alle storie e alle pagine dei libri. Nonostante la realtà sia quella che è, purtroppo non sempre troppo dedita a dare spazio a degli ideali. Ed è proprio questa l’infelicità che spesso si legge nei testi malinconici di questo autore.

Ma perché Leopardi si accosta cosi tanto all’infelicità di vivere?

Semplicemente perché aveva capito che la vita era tutta in salita. Come spesso ci dimentichiamo di fare noi. Pensiamo che tutto ci sia dovuto, che ogni cosa che facciamo, che decidiamo, che proponiamo, sia per certo, o comunque in parte, la cosa giusta, ma in realtà? Cosa ne sappiamo di ciò che è giusto e cosa è sbagliato? Sappiamo, in realtà poche cose ed in quelle crediamo di avere in mano verità assolute, ed invece non va sempre così. Ecco, Giacomino si era accorto di questa cosa, e aveva deciso di non schierarsi, di pensare con la sua testa, proponendo, ma non imponendo ciò che per lui era o meno giusto. Era un poeta libero, di avere una sensibilità docile inconsueta, sembrava quasi non arrabbiarsi, ma stava perennemente in balia della vita. E cosa c’è di meglio, che lasciarsi trasportare senza farsi troppe domande?

Due verità che gli uomini generalmente non crederanno mai: l’una di non saper nulla, l’altra di non essere nulla.

(Zibaldone, 1832)

Lo Zibaldone, che significa ‘mescolanza ‘o ‘guazzabuglio’, è un’imponente raccolta di considerazioni e pensieri relativi a questioni filologico, -erudite, linguistiche, letterarie, filosofiche, con tantissimi appunti poetici, pagine saggistiche, note psicologiche e autobiografiche di questo poeta che è stato troppo spesso delineato come depresso, gobbo e malato, e invece probabilmente era solo piu sensibile alla vita, piu’ attento al dettaglio, e poco propenso alla socialità. Anche se ci furono degli incontri davvero unici nella sua vita come quello del nostro grande amico Alessandro “Manzo” Manzoni al Gabinetto di lettura (che non era una toilette) Vieusseux. Alessandro Manzoni, infatti, a quell’epoca era il romanziere più in voga. Leopardi, vittima della sua asocialità se ne stava in disparte mentre Manzoni discuteva con Giordani.

Egli ebbe, anche da ridire nei riguardi dei Promessi sposi per le cui pagine mantenne un atteggiamento ambiguo, forse non del tutto esente da invidia (ma questi sono solo rumors). Dapprima dichiarò di averne lette solo poche pagine, ma di aver appreso da persone che se ne intendevano, che quel romanzo era «inferiore all’aspettativa». Dopo averlo letto convenne a sè stesso che era un libro che faceva tanto rumore e arrivò a concludere che, nonostante i molti difetti che poteva avere, in fondo gli piaceva molto.

Proprio per la sua idea pessimistica” della vita, Giacomino ebbe pochi riconoscimenti dai suoi contemporanei. Leopardi non ha goduto di grande fortuna né nei suoi anni né per parecchi decenni dopo.

Il suo modo di vedere la vita, ma soprattutto le persone che lo cicrcondavano sembra fatto apposta per dispiacere tutti: ai liberali-progressisti, fautori della modernizzazione e del progresso, per la negazione di ogni idea di miglioramento dell’uomo che esso contiene; ai cattolici e agli spiritualisti in generale per i suoi fondamenti materialistici. La cultura italiana ha fatto a gara per cercare di neutralizzare, o quanto meno rendere più innocue, le punte del suo pensiero, senza però riuscirci del tutto, perché, esiste gente come la sottoscritta, che non è una grande idealista, che se per caso dovesse andare tutto in scatafascio, esattamente come il caro Leolino alzerei le spalle e direi: “Ve l’avevo detto”. Perché in pochi possono capire questo semplice pensiero.

Essere pronti al peggio, anche se non lo si è davvero mai, è un buon modo per stupirsi se magari andrà tutto a meraviglia. Forse Leopardi, voleva solo questo: provare a stupirsi laddove non c’era niente oppure voleva solo essere pronto a ciò che poteva andar storto. Forse è vivere male. Forse invece, è guardare un po’ tutto da una prospettiva letterale, poco capibile, ma profondamente vera.

Alla prossima, miei adepti, per un’avventura tra la poetica di questo grande autore!