Geppy Gleijeses al Sannazzaro con "Le cinque rose di Jennifer"

Geppy Gleijeses al Sannazzaro con “Le cinque rose di Jennifer”

Le cinque rose di Jennifer” mette in scena al Teatro Sannazzaro l’opera prima di Annibale Ruccello, autore scomparso prematuramente nel 1986 che ha rivoluzionato la scena teatrale italiana degli anni ’80. Per la regia di Geppy Glejeses, con Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses, viene riproposta al pubblico una storia ancora oggi attuale che esplora i temi della discriminazione e della solitudine.

Siamo nella Napoli degli anni ’70, nel fantomatico Rione dei Travestiti,  dove Jennifer ( interpretata Geppy Gleijeses) è impaziente per il ritorno di Franco, un incontro fugace fatto tre mesi prima in una discoteca. La vediamo, nel corso di un monologo, affaccendata in azioni quotidiane, come vestirsi, truccarsi, farsi il caffè, tutto nell’attesa della telefonata del suo amato.

Nel mentre, in sottofondo ascoltiamo Radio Cuore, una stazione radio che passa le hit italiane degli anni ’60, con Patty Pravo, Ornella Vanoni, Mina, e tra queste si frappongono alcune dediche musicali fatte dai travestiti della città, i quali trovano sfogo con lo speaker per i loro problemi sentimentali.

Di tanto in tanto, però, alla radio arrivano alcune notizie inquietanti: le trasmissioni sono spesso interrotte dalle ultime a proposito di uno spietato killer che sta mietendo vittime in città, e che alla fine di ogni assassinio adorna i corpi teatralmente con cinque rose rosse. Questa vicenda stranamente non sembra preoccupare Jennifer, così come le telefonate di uno stalker che si finge Franco e che lei liquida con ironia. Il mistero però si infittisce quando la vicina di casa Anna, un altro travestito, si presenta improvvisamente in casa di Jennifer destando immediatamente dei sospetti.

In uno stile tragicomico, che sa inizialmente di commedia ma che si svela pian piano essere un dramma dalle sfumature thriller, “Le cinque rose di Jennifer” racconta le condizioni vissute da un uomo che si sente donna: la discriminazione, l’emarginazione, l’auto-isolamento. Nemmeno la presenza di un altro uomo che, come lei, si sente donna può colmare il vuoto di Jennifer, dato che, in fondo, non sa prendersi cura nemmeno di se stessa.

Nella conversazione tra le due donne, che diventa uno scontro pericoloso quando Anna scopre che le hanno ammazzato il gatto e per un momento è convinta che la colpevole sia proprio Jennifer,  traspare tutto il dolore di dover recitare ogni giorno una parte, quella appunto della donna che si desidera essere ma che purtroppo non è considerata tale dalla società. Ci si lamenta e si fa finta di avere il ciclo mestruale, la famiglia, i mariti sbadati, i figli capricciosi, e la vita di Jennifer è un continuo sforzarsi di trovare un equilibrio tra ciò che vorrebbe essere e ciò che è in realtà.

Jennifer alla fine rinuncia all’attesa del suo Franco e resta sola di fronte allo specchio, si strucca e lentamente rimuove la sua parrucca, poi prende una pistola e si spara in bocca. E chissà se quella che in apparenza era un’incessante serie di delitti a opera di un maniaco non fosse in realtà la conseguenza estrema di un inesauribile tormento esistenziale.