Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche guidate dal maresciallo Ivan Konev raggiungono per prime una città polacca di nome Oświęcim, situata a circa 60 chilometri da Cracovia, nella quale vengono liberati i superstiti di uno dei campi di concentramento nazisti che verranno ricordati nei libri di Storia negli anni a venire. Sarà questa la testimonianza più tangibile degli orrori commessi da Hitler, e per tale ragione il 27 gennaio sarà designato come il Giorno della Memoria dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005. Il campo di concentramento in questione è meglio noto con il suo nome in lingua tedesca: Auschwitz. Per ricordare tale evento, Hermes Magazine ha voluto dare il suo contributo parlando di alcuni libri diventati famosi per essere riusciti a descrivere la profonda sofferenza provata da chi ha vissuto in prima persona quegli eventi traumatici.
Il bambino col pigiama a righe – La mano tesa oltre il filo spinato
Il libro è ambientato nel tragico scenario della Seconda guerra mondiale. Bruno ha 9 anni ed è cresciuto a Berlino, dove vive insieme ai genitori, alla sorella e ai camerieri che girano nella sua sfarzosa casa “di campagna”. Il padre di Bruno, Ralf, è un ufficiale del partito nazista e – dopo una visita di Hitler – viene promosso a comandante delle SS. Per questo nuovo incarico, tutta la famiglia è costretta a lasciare la capitale tedesca per trasferirsi in un territorio di campagna dove sorge il campo di concentramento più famoso. Bruno si annoia nella nuova casa, non sa con chi giocare e comincia a perlustrare i dintorni. In questo modo si rende conto che vicino a casa sua c’è un campo di concentramento (anche se per lui non è proprio un campo dove accadono cose terribili), con uomini e bambini che indossano strani pigiami a righe tutti uguali. Le domande sono tante ma Bruno, da bambino quale è, non dà molto peso a ciò che vede e si trova a conoscere un suo coetaneo al di là del filo spinato.
I due stringono un forte legame, una profonda amicizia, e iniziano a giocare insieme, da una parte all’altra del filo spinato che delimita i confini del campo di sterminio e simbolicamente quelli delle vite di ognuno. Anche se, proprio quando meno se lo aspettano, s’intrecceranno in una maniera significativa e terribile. Presto Bruno si renderà conto del luogo in cui si trova Shmuel, e del fatto che il suo amico è sempre più magro, scarno e debole. Chiacchierando, Bruno scopre che Shmuel ha perso suo padre e si offre di aiutarlo a ritrovarlo. Si fa procurare dall’amico uno dei loro pigiami a righe per infiltrarsi di nascosto nel campo e aiutarlo nell’ardua impresa. Mentre girovagano per il campo, i bimbi vengono convogliati da alcuni ufficiali delle SS in una stanza con le docce. Si tengono per mano. Non sappiamo cosa succederà dopo – possiamo solo immaginarlo – ma in un tale orrore una luce, una sola, una più forte del buio di quei momenti, è rimasta accesa. La mano tesa, oltre il filo spinato.
Fino a quando la mia stella brillerà – Liliana Segre
Si tratta di un romanzo scritto da Daniela Palumbo, che ha raccolto la testimonianza e la storia vera di una delle donne più importanti per la memoria di quegli anni: Liliana Segre, bambina ebrea deportata ad Auschwitz nei primi anni della sua infanzia, già segnata dalla perdita della madre. Il romanzo è edito dalla collana Il battello a vapore ed è una lettura destinata ai ragazzi dai 12 anni in su. Il romanzo è una lettura che racconta in punta di piedi l’orrore dell’Olocausto attraverso gli occhi e le emozioni di una bambina appena affacciata alla vita: Liliana. Una bambina come tante ne esistono, bambina in un passato che non è nemmeno troppo lontano dal nostro, bambina esattamente come si è bambini oggi — come lo sono molti figli, molti fratelli e sorelline che vivono il nostro tempo. Con una vita ancora spensierata, nonostante la guerra.
Che poi che cosa è la guerra quando si è bambini, un gioco, un modo per correre più veloce? È paura, certo, ma è anche un modo (magari troppo irruento) per crescere e diventare grandi; e poi ci sono i giochi, gli amici, lo studio, le passioni, gli interessi, gli affetti. Una vita che certo non era semplice, ma che doveva comunque sempre restare una vita, nonostante quel perdere i contorni frastagliati dei suoi limiti per la grettezza di un nemico che non si è palesato in modo evidente da subito. Ha iniziato il suo attacco quatto, quatto con le prime restrizioni, le prime leggi — razziali — “la notte dei cristalli”: regole assurde che limitavano la libertà di quegli esseri umani colpevoli di essere nati con un sentimento religioso differente, con una storia e una cultura diverse. E poi le deportazioni, e la piccola Liliana si trova, come tanti suoi coetanei, ad aggrapparsi alla vita con tutta sé stessa, nel momento esatto in cui la vita le stava scappando tra le dita. La stella a cui ci riconduce il titolo è simbolica, ed è la stella a cinque punte, quella che dovevano indossare gli ebrei per essere riconosciuti come razza inferiore. Una stella che però, per Liliana, era anche e soprattutto dignità, e rappresentava le sue origini e il suo motivo per andare avanti. Le brutture raccontante in questo libro fanno male, ma sono forse la minima parte di fronte alla potenza che emana questa piccola grande donna. Si prova a dimenticare, ma il passato, questo passato così prepotente ed ostinato, deve tornare, perché nel futuro, in un futuro che ci stiamo costruendo oggi, nemmeno uno di quei numeri marchiati a fuoco sulla pelle siano dimenticati. Dal binario 21, ad Auschwitz, alla vita.
Ho scelto la vita – Liliana Segre
il libro è diviso in due parti: l’ultimo discorso tenuto da Liliana Segre e un’intervista della Senatrice a vita con Alessia Rastelli, giornalista del “Corriere della Sera”. La prefazione è stata affidata a Ferruccio De Bortoli, Presidente onorario del Memoriale della Shoah. Liliana Segre ha deciso di tenere l’ultima conferenza a Rondine, in provincia di Arezzo, perché c’è un’organizzazione – “Rondine, Cittadella della Pace” – che dal 1998 accoglie studenti che provengono da paesi nemici tra loro, come Israele e Palestina, Russia e Cecenia, Serbia e Kosovo, e tra i quali si favorisce l’integrazione e il dialogo, l’atteggiamento migliore per scongiurare i conflitti.
In quest’occasione la Senatrice ha voluto, come sempre, che ci fosse un silenzio totale, per omaggiare quegli ebrei che, non essendoci più, non possono far sentire la loro testimonianza. Ha raccontato le tragiche vicende subìte in seguito alla promulgazione delle leggi razziali: l’espulsione dalla scuola, il tentativo di fuga col padre in Svizzera e il successivo respingimento alla frontiera, la partenza dal tristemente noto Binario 21 della Stazione Centrale di Milano; e poi l’incubo del lager con la paura costante, il sentirsi considerata come un pezzo avariato, un numero tatuato sul braccio e la liberazione del campo di concentramento, la marcia della morte e l’arrivo a Milano dopo mesi e chilometri macinati con la forza della disperazione. Liliana Segre, per più di quarant’anni, ha tenuto dentro di sé le sofferenze di quell’atroce esperienza, ma dopo essere uscita da una depressione, ha deciso di portare la sua testimonianza in giro per l’Italia, in particolar modo nelle scuole, con l’intento di insegnare a “non voltare mai le spalle alle ingiustizie, a non far finta di nulla, a prendere posizione, a non stare in silenzio, ma, soprattutto, a non dimenticare”.
Non a caso, la novantenne Senatrice a vita ha preteso che sul muro che costeggia il famigerato Binario 21 venisse esposta la scritta “Indifferenza”, quel non sentimento che la circondava in quegli anni, dall’espulsione della scuola, fino al ritorno in Italia dopo la liberazione del lager.
Il diario di Anna Frank – La Shoah attraverso gli occhi di una adolescente
Vi voglio parlare di un libro che a mio avviso dovrebbero leggere tutti e che testimonia concretamente le condizioni di vita delle famiglie ebree durante il periodo dell’Olocausto. È il racconto in lingua olandese della vita di una ragazzina ebrea di Amsterdam. Nel 1942 Anne e la sua famiglia, per paura di essere scoperti dai tedeschi ed essere deportati nei campi di concentramento, si trasferirono in un rifugio insieme alla famiglia Vaan Dann e al signor Dussel. Il giorno del suo compleanno, Anne ricevette in regalo un quaderno che diventò il suo diario segreto. Non avendo nessuna persona con cui potersi confidare, decise di raccontare i suoi pensieri sotto forma di lettere destinate a un’amica immaginaria che chiamò Kitty. Per Anne quel diario fu l’unica possibilità di esprimersi, raccontando le proprie esperienze e i pensieri da adolescente: il proprio amore verso Peter (il figlio dei Vaan Dann), le incomprensioni con il padre, il distacco dalla madre, il rapporto poco confidenziale con la sorella maggiore. Con il passare dei mesi, Anne iniziò a pensare di potere, in futuro, trasformare il suo diario in un libro.
“Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora.”
Leggendo tra queste pagine, possiamo notare quanto Anne fosse totalmente priva di odio. Le sue parole strabordano di amore, sogni, voglia di credere nel bene. Nonostante stesse vivendo isolata e nascosta, con il terrore perenne di poter essere scoperta e barbaramente uccisa, la speranza non la abbandonò mai, e addirittura si innamorò. Nell’agosto 1944 i clandestini vennero scoperti, arrestati e condotti al campo di concentramento di Westerork, e le loro strade si divisero. A eccezione del padre di Anne, tutti quanti morirono all’interno dei campi di sterminio nazisti. Anne morì di tifo nel marzo 1945 a Bergen-Belsen, campo di concentramento situato in Germania. Alcuni amici di famiglia che avevano aiutato i clandestini riuscirono a salvare gli appunti scritti da Anne, consegnandoli poi al padre che ne curò la pubblicazione avvenuta ad Amsterdam nel 1947. Il libro ad oggi è pubblicato in più di quaranta Paesi e rappresenta un’importante testimonianza delle violenze subìte da intere famiglie ebree durante l’occupazione nazista.
Mein Kampf – Adolf Hitler
Nonostante il Mein Kampf sia uno dei libri meno graditi al mondo, al giorno d’oggi è molto importante dare un’occhiata e analizzare il testo dell’autobiografia di Adolf Hitler, per capire il perché è stata scritta e come ha fatto a generare una così grande influenza nel mondo degli anni ‘20 del secolo scorso. Un trattato di più di 700 pagine che parte dalla vita del autore, nel quale Adolf Hitler ci racconta della sua famiglia, dell’educazione e degli eventi accaduti durante i primi 35 anni della sua esistenza. Fin dal principio possiamo vedere un segno di odio verso gli ebrei. Scrisse Hitler, accusandoli di comportamenti deplorevoli:
“Come è possibile, che una persona il mattino ti faccia un accordo specifico e la sera dello stesso giorno cambi la sua parola?”.
Troviamo anche alcune osservazioni:
“Gli ebrei sono dappertutto. Il capo di un teatro o una casa editrice, un ristorante oppure nel governo ci sono ebrei. E se un ebreo entra in un’azienda, porta con sé tutti i suoi amici e famigliari senza lasciar posto ai veri cittadini – tedeschi e austriaci”.
Adolf Hitler nella sua opera usa delle parole chiare e semplici, sapendo che la maggior parte dei lettori non sono dei politici e non fanno parte dell’alta società. Il suo scopo era molto chiaro: piano piano voleva insinuare nelle menti della massa l’idea che una sola razza ha la colpa per la disfatta della “Nazione superiore”. Hitler sostituì la definizione di orgoglio per la patria con il termine “nazismo”, manipolando la mente del popolo tedesco che si era ritrovato in ginocchio dopo la Prima guerra mondiale; giocò con la vanità e l’ego della Nazione tedesca e Nord Europea per accusare un altro popolo. Essendo un bravissimo demagogo, Hitler sapeva che era arrivato il momento giusto per iniziare la propaganda nazista, e lo strumento giusto poteva essere proprio un libro, scritto con parole ben pensate, non pesanti, a volte anche ironiche; così i lettori privi di una certa esperienza prendevano per vero quanto era scritto.
“La premessa dell’esistenza di una razza superiore non è lo Stato, ma la nazione.”
E quale sarebbe la razza superiore? Hitler risponde subito: una nazione pura, piena di storia e cultura, la Patria di Beethoven, Mozart, Nietzsche e Goethe, Bosch, Rembrandt e gli atri. Hitler fomentò l’orgoglio dei suoi lettori, facendo loro capire quanto fosse importante la nazione, senza dimenticare i Paesi vicini:
“Provai profonda ammirazione per il grande uomo a Sud delle Alpi, che pieno di fervido amore per il suo popolo, non venne a patti con il nemico interno all’Italia, ma volle annientarlo con ogni mezzo. Ciò che farà annoverare Mussolini fra i grandi della Terra è la decisione di non spartirsi l’Italia con il Marxismo, ma di salvare la sua patria dal Marxismo distruggendolo”.
Secondo lui solo un ebreo poteva creare qualcosa di simile al Marxismo, visto che Carl Marx era ebreo. Nel suo libro Hitler usa tutti i metodi per conquistare il cuore dei suoi lettori:
“Perciò io credo di agire nel senso del Creatore del mondo: in quanto mi difendo dagli ebrei, lotto per le opere del Signore.”
Non è un segreto che gli ebrei sono colpevolizzati per la crocifissione di Gesù. Per questo motivo, secondo lui, “I parassiti” devono essere eliminati, e gli “ariani” devono unirsi per salvare la loro patria.
“Nella debolezza fisica risiede quasi sempre la causa della vigliaccheria personale”.
Gli ebrei non erano tanto famosi come atleti ai tempi del Mein Kampf, e Hitler arrivò a una conclusione inversa: se tutti i deboli sono vigliacchi, allora anche tutti gli ebrei sono vigliacchi.
Seconda parte
Nella seconda parte Hitler spiega con parole forti:
“Con gli ebrei non c’è modo alcuno di patteggiare, ma solo un durissimo sì o no.”
Intendendo che si potevano eliminare, oppure usarli come schiavi insieme alle “mezze scimmie” – i negri – per la tutela della razza ariana. Chi sono gli ariani? Geneticamente i popoli nord europei, ma anche gli italiani, gli armeni – tutti i paesi della ex Roma antica. Ovviamente, tutto ciò riguardava la mappa del “futuro Reich“: possiamo vedere che Hitler voleva far rinascere la Roma antica, ma spostando la capitale in Germania. Per questo motivo nel Terzo Reich furono usati gli antichi simboli romani, che ora, purtroppo, hanno assunto un connotato negativo. Un semplice simbolo del Sole, ad esempio, ora viene associato al genocidio.
Mein Kampf è un libro da leggere almeno una volta per riguardare la storia, capire come una persona sola abbia potuto convincere tutto il mondo europeo a distruggere un popolo.
Fonte foto: puntoquotidiano.it
Non dobbiamo avere paura di Hitler e della sua opera, ma dobbiamo usare l’esperienza storica per evitare che ci sia la minima possibilità che un giorno qualcosa di simile possa accadere di nuovo. Historia magistra vitae est, e solo noi possiamo creare un futuro senza odio, intolleranza e crudeltà per i nostri figli.
Nato in un torrido ferragosto del 1968 a Milano, dove vive tutt’ora.
Si considera vecchio fuori, ma giovane dentro: in realtà è vecchio anche dentro.
La scrittura è per lui un piacere più che una passione, dal momento che – sua opinione – la passione stessa genera sofferenza e lui, quando scrive, non soffre mai, al massimo urla qualche imprecazione davanti al foglio bianco.
Lettore appassionato di generi diversi, come il noir, il thriller, il romanzo umoristico e quello storico, adora Calvino, stravede per Camilleri e si lascia trascinare volentieri dalle storie di Stephen King e di Ken Follett.
Appassionato di musica, ascolta di tutto: dal rock al blues, dal funky al jazz, dalla classica al rap, convinto assertore della musica senza barriere.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, dal titolo “L’occasione.”, genere umoristico.
Ha detto di lui Roberto Saviano:”Non so chi sia”.